TULLIO MARIANI
BIONETTO
(note biografiche in sonetto)
Casette d’Ete mi guardò arrivare
verso metà del secolo passato
a diciott’anni me ne sono andato
a Pisa, con la scusa di studiare.
Poco ho studiato e molto ho svicolato
rincorrendo utopie per terra e mare
e alla fine, a trovar da lavorare,
quel poco che sapevo m’è bastato.
Ho una moglie – è psichiatra e mi sopporta –
e una figlia d’autunno ben riuscita
un po’ sveglia, un po’ ingenua e un po’ acqua cheta.
Scriver versi mi alluzza e mi conforta
mi aiuta a non soccombere alla vita
ma non m’illudo d’essere poeta.
(Da: In tarda stagione – Quarantacinque sonetti e un canto di viaggio, Edizioni Helicon, Arezzo, 2014.)
Oltre al libro sopra citato, Tullio Mariani ha pubblicato Memoria di una vita non vissuta, Stravagario Editore, Minturno, 2019.
Quanto ai premi, non tiene liste aggiornate. Limitandosi ai primi premi ricevuti, può citare a memoria i principali: “La voce della nostra terra (Copertino, 2009); “Città di Legnano – G. Tirinnanzi” (2009); “Oreste Pelagatti” (2010); “Città di Acqui Terme” (2011, 2017); “Energia per la vita” (2013); “Thesaurus” (2013, 2015); “Luciano Nicolis” (2013, 2015); “Cavallari di Pizzoli (2014); “Mimesis” (2017); “P. Borgognoni” (2021); “Dino Sarti” (2020); “Clementina Borghi” (2020) e vari altri.
“ La poesia di Tullio Mariani trova la sua naturale dimensione e la sua piena realizzazione nella forma chiusa, in particolare nel sonetto, ma non disdegna altre soluzioni, anche più libere. L’espressione dei sentimenti è parca e vigilata, mai solenne; anzi si colora di ironia o sarcasmo e talvolta termina in uno sberleffo. E tuttavia, un’osservazione non epidermica non fatica a scoprire quella sana e partecipe emozione che sta alla base della poesia in generale, di tutta la poesia del poeta di Marina di Quosa in particolare.” (Pasquale Balestriere)
***
CAMPAGNE D’OTRANTO
Che cerco in questa terra stanca, riarsa
di secoli e di sole. Quale spettro
di sogni o di ricordi qui mi vuole
alla polvere e all’afa, alle corrose
pietre barocche, alla funerea vampa
di bianche strade torride deserte.
Campi bruciati, fratte tormentate
dalla sete d’agosto lunga, greve,
spietata e ignara. Quale amaro nume
chiama a frugare e meditare luoghi
né miei né mai sognati, a rimarcare
orme di un tempo che non m’appartenne
e stride nella mente. Un me passato,
un me futuro cerca la sua chiave
tra zolle secche e saggia pietra gialla
e trova angoscia, e lugubre si leva
un frinire rabbioso di cicale.
COPERTINO, 18 GENNAIO 2009
Lascia ch’io sia poeta per un giorno
in questo strano freddo di Salento
tra luci gialle e nebbioline rade
che infiammano il castello, tra colonne
con angeli stiliti, sotto insegne
annose e palme indigene e straniere.
Lascia ch’io tracci meditati passi
sul tufo dei selciati e sulle soglie
di palazzi barocchi, per le piazze
e le vie strette, ad occhieggiare i bar
col bancone all’antica e quei barbieri
con chitarra in bottega. Lassù in alto,
tenero, ingenuo, un San Giuseppe in volo.
Lascia ch’io giochi un usurpato ruolo
io cantore sguaiato, io musicante
da quattro lire, io piccolo enigmista,
io che conto e riconto accenti e sillabe
e piego a forza le parole. Amica
arcana, arcaica cabala dell’undici
paghi tributo a volte, e avvolgi l’anima
nel tuo cantilenare.
Però oggi,
lascia che almeno oggi sia poeta!
COME UN ARATRO ANTICO
Lavorerò il tuo corpo come un tempo
lavorava la terra il contadino
del mio paese. Con lo stesso amore
con lo stesso vigore disperato
evocherò la vita dai tuoi solchi
e tu sarai per me mensa e giaciglio
tempio, rifugio, lavacro ed alcova
e non avrò che te nella mia mente
nelle mani nella bocca affamata
della tua carne e dei tuoi umori. In te,
nel tuo intimo vibrare immergerò
ogni mio desiderio, ogni mia voglia.
Si spegnerà pulsando il mio gridare
sfacciato osceno ed esibito al mondo
e nel tuo caldo e vellutato esistere
io morirò, donna d’incenso e d’oro!
SCORRE L’ETE
Lieve mormora l’acqua, scorre l’Ete
nel gorgoglio dimesso e divagato
di chi non cura ormai l’antica sete
del campo arato.
Tra ciotti tondi e fango ammonticchiato
indaga un enigmatico cammino
che renda infine vero, realizzato
il suo destino.
Non assaporerà l’aspro e salino
sentore vivo del vicino mare,
si perderà nel Chienti, a capo chino,
senza più andare.
A soli cento passi dal toccare
il canto ed il pulsare delle onde
il suo corso, il suo esistere scompare
tra estranee sponde.
In luoghi altrui il fluire si confonde,
si annulla la sua essenza, indefinita
resta la rotta. L’eco non risponde,
è ormai svanita.
Il fiume su cui crebbe la mia vita
da tempo sa: non giungerà alle mete.
Eppure segue, e gioca la partita,
e scorre, l’Ete.
SONETTO QUASI D’AMORE
Non accendiamo un fuoco ma soltanto
una candela fine, un lume tenue,
sensato. Non dia esca alle perpetue
lacrime di ogni dopo. Che sia canto
caldo e sommesso, sapido di ingenue
e lievi monodie, di disincanto,
degli echi saggi e dolci del frattanto;
senza futuri urlati, senza strenue
tenzoni contro i greggi ed i giganti.
Che non generi croci, chiodi o spine
né il ricercato culto del dolore.
Non avremo, alla fine
né cicatrici, né abusati pianti,
e ci diremo, forse, che era amore.
Tullio Mariani
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3 risposte
Malgrado dica di non essere poeta, autosvalutandosi, Mariani è un rimatore di talento con uno spiccato senso musicale della parola e una straordinaria capacità descrittiva.
Basterebbero a testimoniarlo la bellissima “Campagne d’Otranto” e le pregevoli saffiche di “Scorre l’Ete”.
Bene ha fatto Pasquale a presentarlo.
Tullio Mariani merita di essere conosciuto.
Caro Luciano, Tullio è ben noto nell’ambiente dei concorsi letterari che -si pensi e si dica ciò che si vuole- sono senz’altro mezzo e occasione per conoscere i poeti e, relativamente a questi ultimi, per conoscersi tra loro.
Così ho incontrato tanti poeti e amici, come Umberto Vicaretti, Carla Baroni, Giannicola Ceccarossi, Maria Ebe Argenti, Giovanni Caso, Paolo Ruffilli, Dante Maffia, Giorgio Barberi Squarotti, tanto per citarne alcuni.
Per tornare a Tullio, la sua bravura è talmente evidente che -confesso- destava in me una certa meraviglia il fatto che nessuno l’avesse ancora commentato.
La poesia di Tullio Mariani scivola sulla strada della metrica con quella consumata sapienza e quell’innato orecchio musicale che ti assicurano una lettura armoniosa e piacevole. Leggo, e mi trovo trascinata da ritmi perfetti e più vado avanti più mi rendo conto che non inciamperò in sassi perché grande è la capacità del costruttore della via, e che se dovesse accadere sarebbe solo su un fuscello sfuggito dalla tasca. Esperienza e capacità naturali ci dimostrano come la metrica, vista da alcuni come una gabbia, sia invece un aiuto nelle mani di chi la sa usare, perché se è vero che scrivere in piena libertà dispiega le ali dell’immediatezza, è vero anche che il freno della sillabazione ti spinge a studiare modi e modi diversi e a limare e a sfidare te stesso perché tu cerchi dentro di te LA maniera di dire che meglio può veicolare il tuo messaggio. L’ endecasillabo si snoda in forma libera e in forma chiusa con la stessa naturalezza, sia che si tratti di sonetto che di metrica barbara, in questo caso la saffica. Una saffica moderna che accetta l’uso della rima e in cui il ritmo prevalentemente giambico sostituisce quello trocaico della forma originale pur talvolta riprendendolo al fine di modulare l’andamento del discorso. L’abbandono del rigoroso ritmo dattilico nell’incipit dell’adonio a favore di un’accentazione libera inquadra definitivamente questo lavoro nella maniera moderna di intendere la saffica . Il poeta si dimostra metrico di esperienza, sa bene come ci si muove su questo terreno sempre pronto a tenderti trabocchetti. Interessante la struttura del sonetto che nella seconda terzina taglia il primo verso a mo’ di rinterzato senza tuttavia esserlo. A me piace incontrare nelle forme classiche qualche variazione, come questa, per esempio, o certe formule rimiche belliane o magari di Rilke o Wyatt o Spencer. Avvincenti i versi sull’amore visto in due maniere : la passione sfrenata che tutto dà e tutto chiede, e il sentimento misurato che non porge il fianco a contrasti, recriminazioni o lacrime, ma che si costruisce piano, che non arderà come una fiamma viva, calda e alta fino al tetto ma anche lesta a consumarsi, ma si accenderà come una candela dal filo sottile, dalla luce tenue, dal calore modesto, ma più duraturo e che forse non lascerà cicatrici ma probabilmente la consolazione di sapere che abbiamo amato e che siamo stati amati.. Sembrerebbero poesie scritte ad anni di distanza, la voce dell’irruenza giovanile e quella dell’ esperienza 🙂 Cosa dovremmo dire a te, “ poeta per un giorno …cantore sguaiato…musicante da quattro lire…piccolo enigmista” che conti e riconti le sillabe? Non so gli altri, quanto a me, se mi chiedi “ lascia che almeno oggi io sia poeta!” io rispondo :” …almeno oggi ? …Ce ne fossero di poeti come te, amico mio!”