Umberto Saba
A mia moglie
Un canto d’amore sui generis ma vero, assolutamente autentico. Che, però, non fu capito alle prime letture. Saba stesso scrisse: ”La poesia provocò, appena conosciuta, allegre risate. Pareva strano che un uomo scrivesse una poesia per paragonare sua moglie a tutti gli animali della creazione.”
Invece qui c’è un sentimento profondo e serio, ampio e avvolgente, terso e quasi francescano, primigenio nella sua essenza, comunicato con un linguaggio parlato ma sostanziato di semplicità e purezza per via della parola rigenerata, cioè scrostata dell’ovvietà quotidiana, e collocata in un ambito sintattico sicuramente efficace e talvolta inedito.
***
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.
5 risposte
Non c’è niente da aggiungere, Pasquale, a questo tuo commento sintetico ma del tutto esaustivo. Questa lirica dall’andamento “ruscellante” come avrebbe detto Luzi – ossia costituita principalmente da versi brevi, settenari, e qualche rima qua e là a evidenziare il chiocchiolio suadente di un piccolo corso d’acqua – è, a mio parere, una delle più belle poesie d’amore della nostra letteratura. La donna qui è presenza concreta, non è uno stereotipo idealizzato come in molti altri componimenti del genere. Saba rende benissimo la reciproca tenerezza, l’affettuosità di due coniugi che si sostengono a vicenda. Il riferimento agli animali, poi, non fa che rafforzare l’immagine dell’indissolubilità di un vincolo che durerà nel tempo, poiché queste creature – al contrario degli uomini – quando amano non tradiscono mai.
Saba è eliminazione del superfluo e riduzione all’essenziale; ma anche recupero del valore primigenio della parola, che si fa logos: un valore vero, unico, insostituibile. Cara Carla, quella di Saba è una dizione poetica nuova e inconfondibile nel panorama letterario non solo del Novecento.
E ti pareva che io mi innamorassi di uno che non valeva niente: svampita sì, ma stupida no. Però nella mia vita ci sono stati due “Umberto Poli”. Il secondo era il docente di religione della scuola in cui io stessa insegnavo. Ameno Apostolo di Dio aveva un proprio particolare modo di condurre le pecorelle al suo Signore. Nelle ore di lezione convertiva la bidella mentre gli alunni giocavano a carte.
” e in nessun’altra donna”.
Due volte compare questo settenario, nella prima strofa e come ultimo verso del componimento con effetto amplificante.
È proprio questo verso la chiave di lettura di questa singolare poesia d’amore: alla moglie e solo a lei è dato di possedere le meravigliose qualità delle ” femmine dei sereni animali”, e lui lo può ben dire perché nessuno al mondo la conosce come lui.
Lungi dal suscitare ilarità, questa poesia, inedita testimonianza d’amore, appare colma di purezza e di innocenza.
Sì, condivido appieno.