Pasquale Balestriere, Sulla poesia 

SULLA POESIA

di Pasquale Balestriere

(Contributi a una discussione sviluppatasi su un blog qualche anno fa)

                  ***

Io non so se sia impossibile definire razionalmente la poesia, come qualcuno sostiene. So per certo però che essa trascura i confini netti, si prende gli spazi che vuole, invadendoli a modo suo, ignora divieti, trappole e forche caudine. Naturalmente il poeta non è un folle né uno sregolato, scrive secondo la sua natura, le sue capacità e certe regole che ha interiorizzate; e la sua bravura sta nell’incarnare in una forma plausibile il rivolo o il fiume di poesia che, erotto dalla sua più profonda intimità, lo percorre, e reclama l’uscita, cioè la vita e, quindi, appunto una forma. E poiché è sempre più difficile, al di là del gusto personale, stabilire cosa sia poesia e cosa non lo sia, tranne in casi evidenti, né, per la fluidità del magma poetico, è possibile stabilire una barriera (sia pure mobile) che indichi dove finisca la poesia e dove cominci la prosa, diventa occasione di confronto, di battaglia verbale e di tenzone intellettuale la lettura di quello spazio o luogo di nessuno che intercorre tra la prosa e la poesia. Mi spiego meglio. Come stemperando il nero e caricando il bianco i due colori si toccano e poi si confondono nella tonalità del grigio, così può avvenire per prosa e poesia, con ambigue invasioni di campo. Avremo, in quella terra di nessuno, poesia prosastica o prosa poetica, e mi pare che questa sia soluzione praticata oggi da molti; che però definiscono sempre e solo “poesia” il loro prodotto spesso scadente. E questo non va bene. Anch’io, come altri, sono per una poesia che non solo non si confonda con la prosa, ma neppure offra il destro di pericolose commistioni. Non mi piace la poesia prosastica, perché ha movimento eccentrico, che si allontana dalla vera poesia; preferisco il movimento concentrico della prosa poetica, se proprio devo scegliere. Ma prediligo colori netti. O bianco o nero. Qualunque cosa accada.

 

(Di seguito rispondo a qualcuno che è intervenuto in difesa del “grigio” e a proposito della “terra di nessuno”)

L’aggettivo “grigio” e l’espressione “terra di nessuno” vogliono semplicemente delimitare esternamente un “territorio poetico”, al cui centro c’è, a mio parere, la poesia per eccellenza, quella lirica, che esprime i sentimenti, gli affetti, insomma i moti dell’animo di chi scrive. A mano a mano che ci si allontana da questo centro si incontrano gli altri generi, quelli più “raccontati”, e quindi già leggermente spostati verso la prosa, ma sempre in pieno ambito poetico: il drammatico, l’epico (oggi defunto e sostituito da un più generico poema o poemetto), il didascalico (defunto anch’esso e sostituito direttamente dalla prosa) e tutta la moderna e variegata poesia che vuole prendere le distanze dalla lirica. Sicché gradualmente, allontanandoci da quel centro che, con qualche rischio di fraintendimento per usura dell’espressione, possiamo definire di “poesia pura”, e passando per i tenimenti delle altre forme poetiche già dette, si giunge nella terra di nessuno, che ospiterà pure qualche “grigio splendente”, come qualcuno sostiene, ma sarà un prodotto definibile, un po’ banalmente, come prosa poetica o poesia prosastica. Queste possono essere anche di gradevole lettura e recare in qualche modo, come ho già sostenuto altrove, il segno dell’arte; ma mancheranno di quella compattezza d’ispirazione e di quella tensione lirica e creativa che fanno la grande poesia. Per questo motivo certi ibridi stanno nel territorio di nessuno, perché -appunto- oscillano tra la prosa e la poesia. E spesso non sono, degnamente, né questa né quella.

 

(Rispondo ad altra obiezione)

Proviamo a mettere un po’ d’ordine in questo dialogo, partendo dalla base. Intanto qui la discussione non verte sul classico o sul moderno; e il bianco e il nero sono due colori usati da me in un esempio, magari banale, per indicare la prosa e la poesia ( e non dunque la sola poesia). Quindi , caro C., la tua domanda “Ora, se parliamo di poesia, perché dovremmo limitarci al bianco e nero?” non ha proprio motivo di essere. E sfondi una porta aperta quando affermi “La poesia può esplorare nuove forme, nuovi orizzonti, non per questo è meno poesia…”, perché nessuno dice il contrario, ci mancherebbe! Sempre a patto che sia poesia e non velleitario sperimentalismo da quattro soldi o peggio pretenzioso dilettantismo (ché quella roba lì, sì, mi fa venire l’orticaria).

I due capisaldi di cui si discute sono la prosa e la poesia. Ora, la prosa è un prodotto confezionato a freddo, logico, razionale, analitico, che può raggiungere alti livelli artistici per motivi diversi da quelli della poesia. E fin qui non credo ci sia motivo di discussione. La poesia ha bisogno, per essere tale, prima ancora che di musicalità,  di accensione d’animo, di folgorazione o, almeno, di illuminazione, insomma di ciò che una volta si diceva ispirazione. E quindi la poesia non si elabora a freddo, come la prosa, ma presuppone una scossa violenta, un urto sentimentale. Se questo manca, non si può far poesia. L’altro momento essenziale della poesia è la sintesi. Tutto il resto (metro, ritmo, armonia, musicalità, ecc.) è immediatamente successivo al momento intuitivo e appartiene alla fase espressiva. E fin qui dovremmo ancora essere tutti d’accordo. Dove si apre la querelle? Sulla terra di mezzo o di nessuno. Io penso che, come ogni umana cosa, la poesia abbia una periferia e un centro, un nucleo portante, costituito dalla sincerità dell’ispirazione, dalla forza d’ accensione, dall’intensità della sintesi, fuse con gli altri elementi della poesia sopraccitati. Se ci si allontana troppo da questa parte nucleare, si rischia di perdere contatto con la vera poesia e cadere nella similpoesia o nella pseudopoesia, nei casi migliori in una poesia prosastica o in una prosa poetica. Sperimentare si può e si deve. E d’altra parte non è per un poeta esperimento di scrittura ogni singola prova in versi a cui dà vita? Ma comunque nell’ambito della poesia, e non fuori, sempre che si voglia fare poesia. Così come il jazz che hai citato, caro C., è nel contesto della musica, e non fuori. Perché la nota della spesa, anche se messa bene in colonna, non è poesia. Rimane nota per la spesa.

 

Pasquale Balestriere

 

 

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7 risposte

  1. Caro Pasquale, hai messo troppa carne al fuoco ed io adesso ti rispondo sulla falsa riga di un articoletto mignon (massimo 2250) che avevo preparato per “Dialettica”.
    Essendo sommersa dalla carta sto eliminando molti libri ed ho incominciato da quelli di poesia che, a vario titolo, mi sono entrati in casa. Una certa vanità mi impone di conservare quelli anche di scarsissimo valore in cui è inserito un mio testo. Per gli altri, tenendo le opere degli amici e degli autori noti, sto facendo piazza pulita di una quantità di sillogi che con l’arte di Euterpe non hanno niente a che vedere. Non rispettata la forma ma neanche la minima musicalità, ignorata completamente la metafora che con una sola parola apre un intero mondo, questi libretti solcano in lungo e in largo l’Italia per ottenere l’approvazione in un qualche sconosciuto concorso o un profluvio di parole nelle recensioni di certi blog i gerenti dei quali da questa fatica traggono i relativi vantaggi.
    Esclusi i bianchi – come li chiami tu, ma anche in questi l’originalità è spesso bestia rara – le “cinquanta sfumature di grigio” impazzano in quanto tutto è concesso all’insegna di un’avanguardia che avanguardia non è ma solo ignoranza. E a ciò hanno contribuito molto anche le cattive traduzioni di poeti stranieri magari Premi Nobel.
    Il male è che oggigiorno quasi tutti hanno i mille euro per farsi pubblicare qualcosa e fregiarsi poi del titolo di poeta tanto che taluni lo mettono pure sul biglietto da visita. Ed era già dura quando ancora non esisteva internet ma ora con questo strumento chi si salva dalla parafrasi se non dalla scopiazzatura? Mi ricordo che una volta ebbi a recensire – ma il mio pezzo non fu pubblicato essendo stato giudicato troppo cattivo – la silloge di un’anziana poetessa (chiamiamola così) che tutti, perfino il Vescovo del luogo, avevano elogiato e che era arrivata a rimaneggiare “La quercia caduta ” del Pascoli. Niente aveva tralasciato neppure la capinera stando però attenta a non riportare le cinque parole di seguito che costituiscono plagio.
    Tuttavia questi sedicenti poeti godono del catartico piacere della scrittura. Anch’io non so come farei se non avessi questa amica fedele che mi accompagna. E allora dato che queste persone non fanno male a nessuno, in un mondo in cui si uccidono i genitori e i figli, si stuprano le donne per strada e altro ancora, lasciamoli con i loro innocentissimi svaghi.
    Per concludere vorrei aggiungere che al degrado della “poesia” in genere hanno contribuito e contribuiscono sempre più giurie assolutamente inesperte di premi letterari – a Bondeno nel Ferrarese i testi vengono sottoposti al parere dello spazzino, del macellaio, del fruttivendolo ecc. ecc. –
    e la convinzione che una lirica non sia bella se non tratta un tema “lacrimevole” alla qual cosa mi sono adattata spesso anch’io per avere un posticino sul podio. Ma questo è un aspetto che non si può liquidare in poche righe.

  2. Come hai scritto bene tutto questo, Pasquale! Si avverte il poeta e si avverte il critico. Io non saprei cosa dire al riguardo : ho sempre fatto una distinzione, fra me e me , tra esercizi in versi e “poesie”. Per me esercizio in versi è quello che nasce in una certa forma metrica che scegli perchè magari in quel momento l’idea già ti balugina con una particolare ossatura che già conosci, o perchè ti va di provare una maniera nuova. Esercizio. Da un esercizio del genere possono uscire lavori che è facile chiamare poesia, ma che non sempre meritano questo nome. Se l’involucro è bello non significa che il tutto abbia valore…se manca la Scintilla l’involucro accurato ed elegante potrà generare una poesia, in senso generico (perchè altrimenti come la vuoi chiamare una composizione in versi !?) ma non sarà Poesia, sarà un lavoro artigianale più o meno riuscito, ma solo quello. E’ la Scintilla quel che distingue il poeta …e quella è un dono del Cielo ; i poeti in potenza li sceglie Dio…ma i Poeti in atto sono coloro che operano su questa la Scintilla con lo studio, la volontà, la passione, quel lavoro artigianale che può distillare dalla parola e dall’idea la purezza dell’immagine, la chiarezza del pensiero, l’intensità del sentire. Ci sono scritti in cui il germe della Poesia viene abortito perchè mancano gli strumenti per coltivare il seme e quindi quello appassisce e non germoglia. Ci sono scritti belli come frutti maturi, lustri, ti attirano…poi li strizzi e non ne esce succo. Credo che la Poesia sia qualcosa che esiste di per sé :che molti possono avvertire e riconoscere, ma pochi divenirne strumento, e che nessuno può definire. Perchè il Poeta è solo lo strumento con cui la poesia delle cose raggiunge chi è disposto ad ascoltare. La poesia è una presenza viva e inafferrabile …quando ti sfiora lo avverti e può accadere che il suo tocco per un istante ti cambi, quando l’hai davanti la riconosci, è ovunque ed a nessuno è estranea perchè in ognuno di noi c’è qualcosa che le appartiene e che lei chiama . E’ un soffio di luce che ti schiara gli occhi, una lacrima di Dio che ti rinfresca la fronte, una voce che ti dice che esisti , che sei parte del grande mistero e che forse non sei del tutto inutile. Non so nulla di poesia, di critica, scrivo versucci solo per fare qualcosa e la poesia non è nemmeno la mia passione, ma quando mi passa accanto io ne sento il profumo e lo so che è lì.

  3. Definire con esattezza la poesia , penso sia impresa ardua e forse impossibile. Si potrebbe tentare distinguendo tre principali accezioni di poesia . Una prima , intesa come afflato che aleggia in ogni forma di espressione artistica quando riesce a far nascere indefinite e profonde emozioni . In questa accezione è possibile trovarla in un dipinto , una scultura, uno spartito un passo di danza , e in infinite altre espressioni artistiche, e perfino in elementi o eventi naturali ( un fiore , un profumo … ) . Una seconda intesa come forma o ” genere” letterario caratterizzato da specifiche connotazioni metriche, ritmiche , tematiche, lessicali e stilistiche, e, quando questa seconda
    trova, cosa che purtroppo accade di rado, un punto di congiunzione con la prima , ci si trova davanti a un qualcosa che può essere indicato con Poesia. Questa terza, che potremmo differenziare con la maiuscola, è forse quella che più delle altre sfugge ad ogni nostro tentativo di definizione, perché è qualcosa che , come ebbe a ripetere Borges, in alcune delle sue ” lezioni americane sulla poesia” è qualcosa che ” accade” e che nessuno sa dire perché e come accade. Addirittura afferma che se nessuno glielo chiede sa cosa sia la poesia, ma se qualcuno glielo chiede , a quel punto, non sa trovare le parole per definirla . Mi piace, a volte, rifugiarmi nel mito , come facevano gli antichi, che vi ricorrevano , ogni qualvolta non trovavano una spiegazione razionale per fenomeni naturali o umani. E per la Poesia si rivolgevano alla Muse, figlie di Mnemosyne e di Zeus, detentrici della memoria . E penso a Dante che sente il bisogno di chiedere l’aiuto delle Muse e di Apollo , insieme, ( le due cime del Parnaso) quando si accinge a dare inizio alla terza Cantica del suo Poema . O a Leopardi che si sofferma, in alcuni passi dello Zibaldone, sulla distinzione tra ” termini” e ” parole”, per indicare come l’indefinitezza delle seconde le renda più consone per l’espressione poetica. E si potrebbe continuare .

  4. La poesia, rispetto alla prosa, prevede una scomposizione del dettato in frammenti verbali, versi, versicoli o semplici sintagmi, più o meno inseriti in un disegno metrico.
    Questo è un procedimento che dà risalto, evidenziazione al frammento verbale, procedimento che nella poesia è sempre presente mentre nella prosa è occasionale, tramite accorgimenti sintattici e un uso opportuno della punteggiatura.

  5. La Poesia

    Un sogno sulla carta…
    Cos’e la poesia?
    Forse una foglia sparta
    che il vento porta via?

    Fatta d’aria e di luce
    nasce giù nel profondo
    inerme e ti seduce
    nel suo venire al mondo.

    Eppur di carne e sangue
    ella non è. Piu spesso
    cresce stentata, esangue,
    e vive di un riflesso.

    Poi come per incanto
    acquista ali possenti,
    e libera il suo canto
    nello spirar dei venti.

    Vola di cielo in cielo
    passa da mare a mare
    e vince le onde e il gelo
    nel suo peregrinare.

    Ed ogni cuor che tocca
    colma, ferisce e preme.
    Di fuori infin trabocca,
    poi, per morire insieme.

    1. A parte che non capisco perché appaia sempre PACCUARDI e non Pacciardi questa tua definizione, Lido, non solo è molto pertinente ma è anche una poesia veramente bella. Tuttavia nelle intenzioni di Pasquale c’era di sollevare un dibattito su quello che invece poesia non è e che circola liberamente e ostentatamente facendosi premiare anche in molti concorsi della penisola. Siamo noi che sbagliamo?

  6. Innanzitutto ringrazio gli intervenuti.Poi dico che Carla ha ragione:dentro di me desideravo (e certo -mea culpa!-dovevo dirlo con chiarezza) che si aprisse una discussione sulla poesia d’oggi, in particolare su quella “poesia” che ha inteso spazzare via ogni elemento di continuità, lanciandosi in un’avventura dissennata e velleitaria, banale e insieme pretenziosa, prosaica e senza slanci, frantumando regole e schemi codificati da secoli. Anche per questo alludevo non dico alla necessità di stabilire dei confini tra poesia e prosa, ché sarebbe impossibile, ma di individuare dei “territori” di appartenenza dell’una e dell’altra: giacché è evidente che prosa e poesia non siano la stessa cosa. Insomma , può esistere un tipo di poesia che rinnega tutto il passato e si presenta in modo assolutamente prosaico?

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