I COLLABORATORI: CARLA BARONI

                        CARLA BARONI

 

Carla Baroni è nata a Cologna Veneta in provincia di Verona ma, dopo aver vissuto in diversi comuni italiani, si è stabilita definitivamente a Ferrara dove ha trascorso quasi tutta la sua esistenza. Talvolta si firma aggiungendo anche il secondo cognome Parmiani per non essere confusa con un’omonima poetessa di Milano quasi coetanea.

Ha due lauree una in scienze matematiche e una in giurisprudenza. Ha iniziato a scrivere poesie all’età di tredici anni incoraggiata dalla madre anche lei poetessa.

Soltanto quando è andata in pensione ha incominciato a dare alle stampe le sue raccolte e a partecipare attivamente ai concorsi letterari ricevendo molti premi sia per l’edito che per l’inedito.

Ha pubblicato trentadue libri di poesia tra cui Origami di stoffa (Bastogi, Foggia, 2007) – vincitore del primo premio al “Pietro Niccolini”, al “Tanzi”, al “Semaforo rosso”, a “La Gorgone d’oro” e di altri riconoscimenti minori – Il treno corre (Edizioni ETS, Pisa, 2007) – vincitore del Premio “Il Portone”-, Rose di luce (Bastogi, Foggia, 2011) – vincitore del primo premio al “Campagnola di Brugine” all’”Aeclanum” e al “Mesagne” -, E adesso in forma antica vo rimando (Edizioni Kolibris, Ferrara, 2014) – con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti e vincitore del primo premio al “Pietro Niccolini”, Versi d’ottobre (Edizioni Confronto, Fondi, 2012) – vincitore del concorso “Libero de Libero” -, Dialoghi interrotti (Edizione ETS, Pisa, 2017) – vincitore del Premio “ Il Portone” e La città dolente (Caramanica editore, Scauri, 2020) vincitore del Premio “Caput Gauri.”

Ha inoltre all’attivo una traduzione insieme alla madre Rina Buroni delle Bucoliche di Virgilio in endecasillabi, due libri di filastrocche e altri libri in prosa da sola o con altri autori e questo anche per la poesia.

È inclusa in Italian Poetry e Bombacarta le ha dedicato interamente il numero 72 di Lettera in versi.

Collabora come critico letterario a riviste del settore.

“La poesia di Carla Baroni, che affonda le sue radici in una sostanza umana complessa e variegata, si confronta con tutti gli aspetti della vita, li dice liricamente, li colora di sé. L’io poetico, trasfondendo nei versi a volte sensazioni positive e note anche ironiche,  ma più spesso percezioni di sofferta partecipazione all’esistenza,  denuncia altresì  l’ingiusta inesorabile  sorte di dolorosa solitudine e di sofferta alterità. Sentimento  che  quasi sempre si attenua o si scioglie nell’onda ampia e fluente  dell’endecasillabo, che arrotonda ogni asperità di cuore.” (P. Balestriere)

               ***

     Mio angelo custode 

Mio angelo custode, che mi segui
a balzi ed a saltelli in questo andare
tra paludosi fossi dove rana
non canta né fiorisce il biancospino,
hai ali lunghe e nere stropicciate
d’uccello che oramai non sa volare.
Forse sei troppo vecchio, riciclato
da qualch’altro che il mondo ebbe a lasciare
quando angelo anch’io dal Paradiso
con ignominia e sdegno fui cacciata.
E ti ho costretto a questa solitudine
mentre un bicchier di vino all’osteria
davanti a una partita di tressette
riscalderebbe in cuor la nostalgia
di questo nostro gran bene perduto.
Chissà se suoneranno un dì le trombe
anche per noi, se ci sarà concesso
un angolo per farci riposare
o scalzi ancora insieme zoppicando
andremo per le vie di questo mondo
per nostra eterna, cruda dannazione.

Alzate l’architrave carpentieri  

Alzate l’architrave carpentieri
perché rubi dal cielo le comete
per farmene una veste scintillante
o una stola di polvere d’argento
io donna ambigua dal sorriso incerto
che nasconde nell’intimo i pensieri.
Gioco coi verbi, dico e poi disdico
m’arresto per fuggir subito dopo
instabile nel riso e nel lamento.
Alzate l’architrave carpentieri,
lucciola sono di distanze estreme
falena che si nutre all’altrui lume
girando intorno, orbita fallace
d’un desiderio solo.
E non avrò che un cero
dallo stoppino fragile, uno spago
una corda restia a srotolarsi
per farmi donna libera di dire
gli ampi spazi che l’anima promana,
mondi diversi, inusitati suoni…
Alzate l’architrave carpentieri
io non sto dentro ad una sola stanza. 

Perdonami, mio caro, se per gioco  

Perdonami, mio caro, se per gioco
in agrodolce mi comporto spesso
mescolando lo zucchero al limone.
Però protesto che tu metta invece
l’arsenico nel latte a colazione.
È morto il gatto, povera bestiola,
con miagolii e ruggiti da leone.

 

       Ogni tanto ritorni

Ogni tanto ritorni: ti distinguo
dal gorgoglio del riso così giovane
nel vento di scirocco che ansimante
brucia i fieni all’estate, le cicale
provano canti nuovi sopra gli olmi.
La veste hai corta – adesso siamo in guerra –
e scarpe con la zeppa e in bicicletta
percorri lo stradone di campagna:
oggi si trova carne a Filo. Il fiume
s’arrende lento alla calura e stride
col verso dei gabbiani che s’inoltrano
dentro forre e barene, non conoscono
luoghi sicuri, i propri nidi, esplorano
diffidenti il verde che è rimasto.
Tu pedali veloce, il sole in alto
sugge stille dolenti al grande pianto
che la terra abbandonata esala.
Ma oggi è festa, c’è la carne e il pane
e tu sudata e stanca sei felice.
O ricordarti mamma nei tuoi anni
ancora verdi, col liquido canto
rubato agli spazi siderali della cometa
che ti vegliò nel giorno in cui nascesti
la cometa nera
a tutti gli altri invisa e non a te
che di sua luce argentea ti tingevi.
Ed ora torni a tratti
nel blu sconfitto della notte quando
nella stretta dei ghiacci già risuona
il murmure insistito del ruscello
o nella vampa a giugno se la sera
si tinge delle fiamme del solstizio.
Tu ritorni e mi vegli, melodia
che non si arrende al buio che già incombe.

           Le tre frecce 

Ebbi tre frecce in dono quando nacqui.
Le mise nella culla la madrina
insieme ad una mela affatturata:
la mela la mangiò la mia nutrice
ed io succhiai da lei latte avariato.
Le frecce, invece, furono riposte
finché non ebbi età per ragionare.
D’oro era l’una, l’altra d’argento e l’ultima
forgiata in grezzo ferro. Con la prima
mirai al sole e se ne perse traccia,
con la seconda, già brunita all’aria,
volli scalfire la corteccia a un melo
e cadde franta in briciole sull’erba.
Mi è rimasta la terza arrugginita
e punterò alla terra e farò centro.
Ebbi tre frecce in dono quando nacqui,
due per sognare ed una per morire.

 

                Il tempo 

                      Only throug time time is conquered”
                       (Thomas Stearn Eliot, Four Quartets)

Eliot, astuto ladro d’altrui rime,
dove rubasti questo tempo immoto
in cui il presente nasce dal futuro
e ruota attorno a un perno ch’è memoria
di ciò che non è stato? Frange
la tua parola il tempo e se ne appropria
ma la danza di morte ha le ore corte
incespica nel fondo dell’abisso
e poi ritorna a galla con il ritmo
del valzer lento di Phlebàs Fenicio.
Si può morire se non si è mai nati
se il tempo non è tempo, se lontano
oscilla questo spazio che dilata
la polvere sottile del pensiero
quello che crea e distrugge e tutto ingloba
per farne terra umida in cui affonda
il piede scalzo, il piede di chi esplora?
Eppure di nascosto Filomela
sopra il ramo più alto della quercia
ancora canta, piccolo usignolo,
il suo liquido carme alla natura
immemore che il tempo non sia tempo
ma lieta del chiarore della luna.

           Io sono l’acqua       

Tu credi di conoscermi, tu speri
ch’io sia docile come canna al vento.
Io sono l’acqua, amico, sono l’acqua
acqua di roccia, acqua di sorgente
che sa intorbidarsi al primo limo
ma mai l’afferri, scivola silente
dalle tue mani anche fatte a conca,
evapora, ti sfugge, la ritrovi
sotto forma di pioggia, aspra salata
nel cavo mare dove già scintilla
con lampi di metallo la lorica
che le fa scudo, che ne rende vana
ogni ricerca ed è nel gorgo, amara,
che t’avviluppa rapida all’affondo.
Io sono l’acqua, amico, sono l’acqua
che non conosci anche se è sincera.

 

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6 risposte

  1. Benché questi non siano i primi lavori di Carla Baroni che leggo, non posso dire che la conosco come conosco poeti che frequento da anni. Ma che la sua poesia abbia su di me un forte impatto emotivo questo, sì, lo posso dire e credo che sarebbe difficile non avvertire la forza che emana dai suoi versi. Traspare anche da queste poesie la sofferenza di una persona provata dalla vita, di un’anima cacciata “ con ignominia e sdegno “ dal Paradiso, che si sente sulle spalle anche la colpa di aver costretto il proprio angelo custode a trascinarsi per questo mondo con sul collo il giogo della sua solitudine. E’ un tema che mi prende questo, che mi fa sentire vicina a lei. Essere soli e sentirsi soli sono cose diverse , ma tutt’e due sbarrano la strada.
    “ Falena che si nutre all’ altrui lume”, Carla è al contempo la donna che può orgogliosamente dire “ io non sto dentro ad una stanza sola”. E’ un sentire complesso, variegato: la poetessa è la falena attratta dalla luce di altri, che gira intorno al medesimo fulcro luminoso, o è colei che nessuna stanza può contenere, che spazia ovunque e che non ha barriere? Direi tutt’e due le cose (meravigliosa “contraddizione” concessa all’essere umano ): una vita vissuta in maniera riservata può costringere il corpo, ma non limita i voli dell’ anima, dell’immaginazione, né una salute precaria impedisce allo spirito di crescere forte. (Forte…non duro.) E’ lo stoppino fragile, quella che ha perso le frecce preziose ed è rimasta con quella arrugginita ( e una freccia arrugginita serve a ben poco e dà poca speranza), o è lei stessa Filomena che ancora canta nella pace della sera? La poetessa ci dice cosa è . E’ l’acqua, l’acqua testarda che non puoi afferrare, che scava e rode, che credi di conoscere e ti sfugge, che sa intorbidarsi ….è davvero questo Carla Baroni? O questo è quello che desidera essere e che desidera gli altri pensino che sia? L’espressione “ amico” accompagnata a quel ripetersi di “ io sono l’acqua” mi suona come la caparbia volontà di voler convincere…” amico”, in questo contesto, ha già in sé un sapore di sfida, è porsi come una con cui “ non si scherza” 🙂 Che ci sia di mezzo una “ lorica” , questo è innegabile , ma una persona davvero dura come l’acqua come si concilia con la tenerissima immagine finale di “ Ogni tanto ritorni”, che ci rivela una fragilità di fondo sotto la scorza voluta e creata da ragioni di sopravvivenza ? Sarebbe del tutto sbagliato pensare a Carla come a una creatura dolce che sì è sempre protetta sotto un ruvido mantello e che ci si è così abituata da pensare che sia la sua vera pelle.?
    “Tu ritorni e mi vegli, melodia
    che non si arrende al buio che già incombe. “

    1. Cara Lidia, grazie del tuo generoso commento. Essendo io una persona che si inventa molto, non è sempre facile trarre conclusioni su di me dalle mie poesie, tuttavia la solitudine è il tema dominante, il leitmotiv che permea tutta la mia scrittura.
      Voglio rilevare che ho inserito in questa mia piccola rassegna “Il tempo” lirica chi mi lega a Pasquale e che me l’ha fatto conoscere perché è stata da lui premiata in un concorso che si svolge sull’isola. Il testo aveva avuto la solenne disapprovazione di un mio carissimo amico – ora venuto a mancare – che la riteneva troppo irrispettosa nei confronti di Eliot. Pasquale è andato oltre le convenzioni e gliene sono infinitamente grata.
      Grazie ad entrambi.

      1. E’ difficile, amica mia, trarre conclusioni da chicchessia e in qualsiasi circostanza, e non è questo il compito di chi legge. Quello che conta è che una poesia non ci abbia lasciato indifferenti, che ci abbia ” detto qualcosa” e può accadere, e credo nemmeno tanto di rado, che la poesia che davvero ci colpisce sia quella che, più che rivelarci l’autore, ci rivela noi stessi. Credo che ognuno tenda a cercare se stesso e devo dire, ripensando alla mia interpretazione, ripensandoci ora, mentre scrivo questo, che quel che ho detto potrebbe benissimo riferirsi a me. Probabilmente io ho visto nell’acqua me stessa, il mio atteggiamento duro, spavaldo e dissacratore che in buona parte è uno scudo che più che proteggermi dagli altri cerca di proteggermi dal peggiore dei miei nemici :me stessa. Forse ho percepito senza riconoscere il ” bersaglio”. Resta il fatto che una poesia come la tua, che avvince e smuove qualcosa è sempre una poesia riuscita.

        1. Cara Lidia, io scrivo per divertimento, per vincere il male oscuro della noia. Qui ho voluto mettere alcune delle poesie che piacciono a me e non agli altri. Sono molto contenta che tu abbia invece saputo vederci qualcosa, che cioè tu le abbia apprezzate. Ti ringrazio di cuore.

  2. Per quanto riguarda i contenuti delle poesie di Carla e i ragionamenti e le emozioni che essi possono suscitare, io non saprei che altro aggiungere al commento di Lidia, che è acuta e sensibile.
    Io vorrei invece sottolineare la sua maestria nel gestire l’endecasillabo sciolto, quella cadenza ritmica e insieme quella sostenutezza
    che danno eloquenza, compostezza anche una certa nobiltà al dettato poetico.

    1. Caro Luciano, ormai l’endecasillabo per me è una “forma mentis”. Mia madre, negli ultimi anni della sua vita, quando ancora parlava lo faceva in versi. Io però mi sto accorgendo che molto spesso sbaglio, non sono più nitida come una volta. Decadimento dell’età? Forse o forse sono più tesa a esprimermi in modo diverso che a rispettare la forma. Tuttavia purtroppo le opere di tutti, negli ultimi anni della loro vita, non sono le migliori. Grazie comunque del tuo apprezzamento.

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