UNA QUESTIONE LINGUISTICA

 

IL”  O  “LA” PRESIDENTE GIORGIA MELONI?

 

Premessa

“Quandoque bonus dormītat Homerus” (lo scriveva il grande poeta latino Orazio nell’Ars Poetica al verso 359) significa “di tanto in tanto sonnecchia anche il buon Omero”, per dire che anche persone od organismi importanti possono sbagliare o non essere all’altezza di se stessi e della propria fama.

Io qui, con la citazione oraziana, mi riferisco in particolare  al parere (o giudizio, fate voi) espresso dal Presidente dell’Accademia della Crusca, prof. Claudio Marazzini, circa l’uso linguistico da farsi, in italiano, di una carica – quella di Presidente del Consiglio dei Ministri –  finora sempre al maschile, da poco anche al femminile.

Il precedente

Premetto che già in passato il prof. Marazzini mi ha spinto a prendere la penna per una sana contestazione. Molti anni fa (forse 25 o più), quando teneva (non so oggi) una rubrica linguistica sul periodico “Famiglia cristiana”, dopo aver sostenuto che  “il pneumatico”, solo perché si era affermato nell’ambito dei circuiti automobilistici, poteva tranquillamente convivere con “lo pneumatico”, si mostrò molto permissivo verso la forma (anch’essa errata)  “il gnocco” (parlo del tipo di pasta) in luogo del corretto “lo gnocco”. E c’erano, in quell’intervento,  anche altri discutibili consigli. Gli scrissi così una lettera molto ben articolata, nella quale esponevo il senso di frustrazione di noi docenti di materie letterarie di fronte a un intervento come il suo. A quella lettera egli dedicò, in uno dei successivi numeri di “Famiglia cristiana”,  un breve ed elusivo cenno di risposta, senza assolutamente entrare nel merito delle questioni da me poste.

Precisazione

Ora occorre fare una necessaria , fondamentale precisazione. Ogni lingua deve poter favorire al meglio la comunicazione, a tutti i livelli. Con delle regole, ovviamente.  E le doti della lingua ben parlata, cioè dell’elocuzione,  e quindi anche scritta bene, sono – come sa chiunque abbia studiato un po’ di stilistica –  purezza,  proprietà,  chiarezza,  convenienza, armonia, eleganza, cui si aggiungono semplicità e naturalezza. Inoltre, affinché il processo di comunicazione possa realizzarsi appieno, è fondamentale che una lingua ponga a disposizione del parlante ogni strumento  utile; ma soprattutto essa deve adattarsi alle esigenze della comunicazione. Senza però  certe esagerazioni, talvolta ridicole per acceso femminismo,  in cui è caduta, per esempio Alma Sabatini con il suo gruppo di lavoro nella redazione delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987), lavoro peraltro piuttosto ricco di spunti  e intuizioni interessanti che spesso mi trovano d’accordo.

Il busillis

Ma veniamo al punto. Il Presidente  o la Presidente Giorgia Meloni? La questione non è proprio così trascurabile come qualcuno vorrebbe far credere. Implica la chiarezza linguistica, che è alla base della comunicazione verbale, e l’immediatezza della comprensione; e sottende una serie di altre valutazioni che , in un contesto linguistico come questo, non vale la pena di prendere in considerazione. La chiarezza, come già detto,  è una delle doti fondamentali dell’elocuzione, cioè del parlare corretto. Fondamentale per capirsi.

Il fatto

Dice dunque il prof. Marazzini  (la fonte è l’agenzia di stampa Adnkronos): “I titoli al femminile sono legittimi sempre; chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato. Chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo”. Eh, no, non è così. Questa è soluzione pilatesca e lassista, propria dell’epoca in cui viviamo. La lingua italiana, per sua natura, si adegua ai cambiamenti, alle nuove situazioni; come del resto tutti gli altri idiomi. Si adegua, sì, “deve” adeguarsi, ma per motivi seri. Dove ci sono dei vuoti, dove manca la parola. Ecco perché sarà sempre scorretta in italiano la forma, ad esempio,  ”il poeta Eleonora Scaraglino” o, peggio, “la poeta  Ermelinda Rosatina”: perché la parola c’è, ed è “poetessa”,  l’unica corretta,   antica di circa 700 anni e, come femminile di “poeta”, esisteva già  in latino e in greco con declinazione propria.

Il principio o fondamento di tutta la questione sta nel fatto che tutte le cariche, gli uffici pubblici e i posti di rilievo sono stati occupati  fino a non molto tempo fa da persone di sesso maschile; di conseguenza, l’uso esclusivo del maschile. Ma poi le donne, per meriti conditi spesso da enormi sacrifici di vario genere, sono entrate con ruoli dirigenziali di tutti i settori della vita civile, sociale, economica e politica. Ora, senza neppure voler scomodare la parità di genere, si rende necessario, relativamente all’aspetto linguistico che qui ci riguarda, prendere atto di questa nuova realtà e “dirla” correttamente, declinando al femminile cariche e ruoli; cariche e ruoli che  non sono neutri, come qualcuno insiste a dire, perché il neutro in italiano non esiste. E neppure, come qualcuno sostiene,  il  termine “presidente” può essere considerato come un nome promiscuo, perché promiscui o epiceni  sono, invece, soprattutto  nomi di animali, come  leopardo, volpe, falco,  tigre, gorilla, rana, pantera, coccodrillo, canguro, ecc.; e pochi nomi di persona: guardia, sentinella,  recluta, atleta, ecc.;  tutte quelle parole cioè, così ferreamente stabilite dalla lingua, per le quali non basta il cambio dell’articolo a mutarne il genere (non si può dire infatti “il volpe”, “il pantera”, “il recluta”). Ancora più ridicola mi pare l’osservazione che il nome “presidente” ( come direttore, preside, ecc.) si riferisca al ruolo, alla funzione, all’ufficio e non,  anzitutto e soprattutto,  alla persona che li rappresenta e li esercita.  Cos’è infatti un ruolo, una dignità, una carica senza chi lo incarni e lo faccia vivere? Niente, assolutamente niente. Una cosa che non esiste.  Così quando affermiamo ” È  un buon presidente” oppure “È una buona presidente” non ci riferiamo certo alla carica, che è di per sé un guscio vuoto in attesa di contenuti, ma alla persona che quella carica  interpreta, ricopre e possibilmente onora. È l’uomo o la donna che “fa” il/la presidente. Non il contrario.

L’etimologia

Solo chi non riflette a sufficienza può ignorare che il termine “presidente”, prima di diventare sostantivo in italiano,  era participio presente in latino: praesĭdens (da praesidēre) valeva per tre, cioè aveva una sola uscita per maschile, femminile e neutro. Poiché in italiano non esiste il neutro, rimane che praesidens/presidente, anche sotto il profilo etimologico, è voce riferibile al maschile e al femminile e attende la sua determinazione dall’articolo (il, i; la, le), mentre in latino la riceveva direttamente dal termine o nome o persona cui si riferiva. Dunque,  “la presidente Meloni” anche per quanto  riguarda l’aspetto etimologico. Varrà comunque  la pena di ricordare ai dubbiosi d’oggi che Lorenzo Magalotti, scienziato, letterato e diplomatico,  già nel Seicento scriveva, al femminile, “la presidente”.

Concludendo, in italiano, i nomi sono maschili se l’interprete è maschile, femminili se l’interprete è femminile. Tanto meglio se basta la semplice indicazione fornita dall’articolo a stabilirne il sesso.  Ma occorre evitare confusione o stupide ammucchiate, dovute a non meglio definiti e identificati criteri di parità di genere (che invece di darle  quello che le spetta di diritto, a volte paiono ritorcersele contro).Non si può dire impunemente “Il Preside, professor Olga Quattrino”, perché l’espressione, oltre che ridicola per un orecchio linguisticamente educato, è anche ambigua o poco chiara, in quanto solo alla lettura del quarto elemento dell’espressione (cioè alla voce “Olga”) ci rendiamo conto  che la suddetta è una Signora, che è una Preside e una Professoressa.  Così oggi che abbiamo per la prima volta una donna a ricoprire la carica di presidente del Consiglio la indicheremo correttamente come “la Presidente” (ma tale forma è in uso da parecchi decenni, senza scandalo alcuno, in altri ambiti), proprio come diciamo  la veggente, la mittente, la fulgente, la docente, la supplente, e così via.

La lingua si adatta alle circostanze, alle cose, ai fatti perché è strumento di comunicazione, possibilmente chiaro e corretto. E non viceversa.

Grammatiche  prescrittive e grammatiche descrittive

Oggi viviamo una grande confusione linguistica, che è il frutto avvelenato di cedimenti non previsti, verificatisi a vari livelli nel corso del tempo. E oggi non v’ è chi non veda tale peggioramento. Scrivono male anche  professori universitari, il che è tutto dire. Ricordo un brano  di un famoso critico letterario che, in tre quarti di pagina di scrittura fitta e complessa, organizzata in un solo sterminato periodo(!), seminò sei o sette virgole, con tante subordinate fino al quarto, quinto grado. Sorvolo sulla mia reazione, certamente irriferibile. Ma, a parte questo esempio limite, ritengo che sull’attuale ignoranza linguistica abbiano influito fattori come la crisi della famiglia e quella della scuola, con l’impoverimento culturale della classe docente e la supervalutazione della figura del dirigente scolastico. Ma più ancora ha influito negativamente il movimento del Sessantotto, che pur lodevole per alcune intuizioni positive,  non è riuscito negli esiti previsti o sperati. Nel dilagare del permissivismo a tutti i livelli,  ha oltremodo nociuto, naturalmente agli studenti, il passaggio improvviso e totale, da un manuale di grammatica di tipo prescrittivo o normativo a un altro di tipo descrittivo. Da un estremo all’altro, con tutte le conseguenze del caso. Senza passaggi intermedi. Senza un tentativo di conciliare istanze diverse ma, a mio parere, non opposte. Così, a ragazzi abituati alle regole, si mostra invece come cambia la lingua nel corso del tempo, come la interpretano gli scrittori più o meno famosi, ecc. Il grosso problema di questa opzione è che ai giovani si mostrano possibilità, non si danno risposte puntuali, precise; e la scelta, per chi -per età-  le attende dal mondo adulto, diventa dura difficile, quasi impossibile.

Ecco, le risposte. Il mondo dei ragazzi guarda -ancora-  a quello degli adulti. Che, invece, spesso è sfuggente, non risponde, e invece offre opzioni a chi non è ancora capace di esercitarle; quando invece  sarebbe necessaria una parola chiara e autorevole.  Così, purtroppo,   fanno le grammatiche che espongono, descrivono, ivi compresa la  pur importante Serianni dell’UTET; così   certi esperti di lingua che, per le conoscenze maturate,  dovrebbero dire, indicare, consigliare e avere il coraggio di condannare gli errori, di prendersi certe responsabilità.

Per chiudere

A volte penso che non siamo lontani da Babele. Ognuno parla come gli pare, perso ogni freno inibitorio.  Impera il linguaggio dei social che è parente stretto dell’afasia. Chi può, intervenga. Faccia il suo.

Il mio l’ho fatto e continuo a farlo. Per tutti i motivi detti sopra si dica e si scriva –quanto all’espressione di cui ho finora  discusso- la presidente Giorgia Meloni. Mai in altro modo, che sarebbe errato.

 

Pasquale Balestriere

 

 

 

 

 

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22 risposte

  1. Caro Pasquale, non ti scaldare : c’è di peggio. Comunque siamo fortunati che la Meloni si chiami Giorgia. Se si chiamasse Andrea non so come la metteremmo dato che questo nome è ormai usato per entrambi i sessi!

  2. Intanto, Pasquale, complimenti per la bella dissertazione linguistica.
    Quindi si dice correttamente “La Presidente Meloni”.
    Non voglio pensare a cosa succederebbe se a qualcuno venisse in mente di dire
    “La presidentessa Meloni”.

  3. Grazie, Luciano. Io, in compenso, sono addirittura capace di immaginare -pensa- la risposta all’ipotetico “presidentessa” da parte della diretta interessata.

  4. Mah! Leggendo ! Il gnocco” mi viene da chiedermi se chi ha proposto questa dicitura abbia un po’ di orecchio; come si fa a non sentire la stonatura nell’incontro di quelle tre consonanti? E allora dovremmo dire anche il gnomo, il gnu, il gnomone ? Se l’armonia dev’essere uno degli elementi della comunicazione scritta e parlata, qui l’armonia dov’è? E riguardo ad altre parole…per esempio, la poeta. In nome di cosa…della parità di genere? Ecco, qui mi casca l’asino e il motivo è semplice : la donna ha ormai raggiunto la parità con l’uomo, a tutti gli effetti e in tutti i campi. Non siamo più nell’ottocento, non c’è bisogno di dimostrare nulla perchè tutto è già stato dimostrato. E allora a me pare che chi vuole sostituire il buon, vecchio termine “ poetessa” con quello di “ il poeta” nel profondo non sia molto convinto della parità della donna, sennò non sentirebbe il bisogno di definirla “ il poeta” …come se l’espressione al maschile, “il poeta Luisa,” conferisse alla “ poetessa Luisa” una maggiore dignità. La proposta in sè indica insicurezza, il bisogno di convincere gli altri e in primis noi stessi di quella parità in cui si dice di credere, è in contraddizione con quello che si vorrebbe dimostrare. La parola poetessa esiste…nel momento in cui si sente il bisogno di cambiarla in il poeta si rivela l’intima convinzione che Luisa sarebbe più in gamba “ più uguale” se fosse IL invece che La- Questo vale tutte le volte che ci si scervella per sostituire il termine femminile con quello maschile. La parità esiste, ma la donna resta donna e l’uomo resta uomo per cui il professor Rossi e la professoressa Rossi possono benissimo andare di pari passo, e lo stesso l’avvocato Mario Bianchi e l’avvocato Maria Bianchi…perchè in questo caso il termine “ avvocatessa” sarebbe proprio bruttino…Ma insomma…certe cose si sentono, non ci vuole mica la scienza!

  5. Condivido completamente il tuo discorso, cara Lidia, ma non “l’avvocato Maria Bianchi” e certamente neppure “l’avvocatessa M. B.”. Abbiamo nel latino della Chiesa un bell’e pronto “advocata nostra”, riferito alla Madonna; e, sempre in latino, un participio passato “advocatus, -a, -um”. Ora , in quest’italiano che manca sempre di qualcosa, la soluzione “avvocata” per indicare il femminile di “avvocato” mi sembra molto giusta e indovinata, innanzitutto per motivi etimologici, poi perché in italiano i nomi maschili terminanti in -o hanno il femminile in -a. Le altre soluzioni mi appaiono inaccettabili.

  6. Caro Pasquale, eccoti ” il grillo parlante” che tu odi perché non ti dà sempre ragione. Il tuo piccolo saggio è ben articolato ma mi sembra una questione di “lana caprina” nel senso che nel linguaggio è importante capirsi al di là delle perfezioni stilistiche.
    Consultando, in internet, il parere dell’Accademia della Crusca ho visto che è completamente d’accordo con te e spiega anche il perché della diversità che esistono tra i tanti nomi maschili che terminano in e nel formare il femminile. Esempio: scultore fa scultrice. Tuttavia salva anche le forme da te deprecate in quanto largamente invalse nell’uso e riporta anche i nomi di scrittori illustri che le hanno usate nei secoli. Quindi accanto ad Avvocata ammette Avvocatessa e a dottora dottoressa.
    Io sono molto imbarazzata quando parlo agli altri del mio medico che è una donna. Dico medica o medichessa? Non mi piacciono entrambe le forme e quindi uso il giro di parole di cui sopra ossia dopo aver usato il maschile specifico il sesso.
    Quanto a Lidia, qui in Emilia, diciamo i gnocchi – che non comporta contrasto di consonanti – per poi attenerci alla forma corretta quando scriviamo.
    La lingua è in continua evoluzione e lo è sempre stata. Se la Meloni vuole l’articolo IL lasciamocelo: vuole dire – al contrario di quello che crede lei – che non si sente abbastanza forte per affermare a tutto tondo la sua personalità di donna.

    1. Cara Carla, per rispondere a tutte le tue affermazioni occorrerebbe un volume. Tuttavia, sintetizzando, dico 1) che il grillo parlante mi è simpatico quando dice cose sensate; 2) che parlare di lingua non è mai questione di lana caprina (espressione superficiale), specialmente oggi, epoca di crassa ignoranza linguistica e di balbettii social, oggi che siamo pressoché vicini a un’incomunicabità verbale ultrapirandelliana; 3) che, sull’Accademia della Crusca e sul suo presidente, ho maturato la convinzione che si barcamenino sempre tra due opzioni, mentre io ritengo che, certamente, bisogna illustrarle le opzioni, ma poi indicare quella ritenuta più corretta; 4) che questa storia della lingua che si evolve non implica che essa debba marciare senza regole, in balia di ogni sprovveduto che apra la bocca; 5) che, quanto alla dottoressa, se vuoi unare il termine “medico”, devi avere il coraggio di dire medica, ché quella è la forma; 6) che la Meloni e tutti coloro che la pensano come lei sono liberi di comportarsi come vogliono, dimostrando però ignoranza linguistica che nessuna accademia potrà pietosamente coprire. E qui finisco.

    2. 🙂 ma, cara Carla, nell’espressione ” i gnocchi” il contrasto di consonanti non si sente perchè non c’è!. C’è, invece, in “iL GNocco” ! “i gnocchi” suona come Gli gnocchi pronunciato un po’ in fretta…la lingua ( almeno la mia ) inciampa quando cozzano LGN. Con tutto ciò ognuno ha un proprio orecchio e quindi mi cheto.

  7. Caro Pasquale, ormai da tempo, da segni inequivocabili, ho capito che quello che scrivo e come lo scrivo non ti “sfagiola” – termine desunto dalla Lidia e di cui non rispondo per l’etimologia – affatto. Anche in questo blog le uniche risposte negative sono ai miei commenti e questa volta usi un po’ d’asprezza sebbene ti abbia dato ragione. Tuttavia, poiché in questi battibecchi mi ci sono sempre divertita. continuo senza avermene a male.
    Ritenevo che scegliere tra dire “avvocata” o “avvocatessa” fosse una questione di “lana caprina” da poter scherzarci sopra e non di capitale importanza come la intendi tu. Ho frequentato sin dall’infanzia le aule di Tribunali e Corti d’Appello (Ferrara, Bologna, Venezia) sia per le continue liti con mio padre e con la proprietaria della casa in cui abitavamo, sia perché ho fatto due anni di praticantato per poter accedere all’esame di Procuratore legale e ti assicuro che le donne vengono dappertutto chiamate Avvocatesse e mai Avvocate. La qual cosa poi, se avvenisse, farebbe perlomeno sorridere per quel chiaro riferimento al Salve Regina.
    Insegnando poi, ho corretto spesso la parola “scienze” che molti miei scolari scrivevano senza i. Tuttavia proprio a quel tempo – circa trent’anni fa – il vocabolario della Zanichelli uscì ammettendo la forma da me ritenuta sbagliata: io ho continuato imperterrita a segnare in rosso ma qualche genitore avrebbe potuto contestarmi.
    Il linguaggio si evolve quando nel parlare prevalgono storpiature, pronunce e forme sbagliate, regionalismi. E’ l’uso insistito e prolungato che decreta l’esistenza di un termine. O dovremmo ancora scrivere Advocato?
    Nell’ultimo periodo, invece, stigmatizzavo con un po’ di ironia una certa insicurezza della Meloni che la spinge a dichiararsi maschio a tutti gli effetti.
    Tu, quando ti si sventola il drappo davanti, vedi rosso e non rifletti. Dovresti essere un tantino più flessibile altrimenti “frangar non flectar”.
    E adesso bacchettami per aver usato lo stesso verbo e i suoi derivati tutti in poche righe!

    1. Carla, direi che vedi le cose un po’ a modo tuo. Vengo ai fatti: 1) “avvocatessa” (checché se ne pensi nei tribunali di Ferrara, Bologna e Venezia) è ridicolo come “vigilessa”: “l’avvocata” e “la vigile” sono soluzioni che ancora non si sono affermate per pigrizia mentale; 2) le questioni linguistiche non sono mai di “lana caprina” perché la parola è uno degli elementi che ci distingue dalle bestie; 3) da almeno quarant’anni lo Zingarelli registra tutte le novità linguistiche, anche quelle che converrebbe lasciare fuori. Che vuoi farci? C’è sempre qualcuno che ama le corsettine in avanti.

    2. Parlando della tua esperienza forense, Carla, tu poni il problema fondamentale della questione, ovvero:
      Ciò che accredita e convalida ufficialmente una parola è la sua radice filologoco-etimologica o invece l’impiego condiviso e costante nel linguaggio corrente?
      Considerando che ogni lingua è un processo in perpetuo divenire che solo nel linguaggio corrente ha la sua conferma definitiva, io direi che la questione non è per nulla semplice da affrontare.

      1. La conferma definitiva di parole, plurali, femminili, di formule, frasari ecc. viene stabilita dall’uso, è vero. Ma prima ancora ( e lo ritengo fermamente) dalla grammatica, che comunque poi dovrà ratificare, quando sono maggioritarie nelle adesioni, le scelte dell’uso. Io credo che la grammatica non possa essere un mero contenitore e registratore della lingua, ma debba anche promuoverla nelle sue forme migliori a tutti i livelli. Il prof. Marazzini, tanti anni fa, sdoganava “il” pneumatico perché -sosteneva- si era affermato nei circuiti delle gare automobilistiche. Per così poco? mi chiedevo. Ma si può? La grammatica sotto i piedi per un nugolo di persone non insuperabili in glottologia? Perciò mi domando: se domani Cannavacciuolo, chef famoso, si svegliasse e dicesse “Ma che Margherita e Margherita! So che questo tipo di pizza si chiamava Zia Ghita. E così lo chiamerò d’ora in avanti”. Dovremmo per così poco cambiare il nome a quel tipo di pizza? Non credo proprio.
        Perciò i docenti facciano i docenti, le grammatiche insegnino la lingua, non limitandosi a presentarla nelle sue varie forme, l’alunno faccia l’alunno, cercando di imparare le regole del gioco (linguistico). E, forse, ci si capirebbe pure meglio.

    3. il vocabolario scrive scienze senza la ” i”? e come diamine lo spiega? Col discorso che tanti oggi fanno così? Ma se questo è il motivo per cui la parola viene ora accettata in una forma che per noi non era giusta ( e la motivazione ce l’avevamo), com’è accaduto che questi ” tanti” siano diventati proprio così ” tanti” da costituire una maggioranza-dominante!? Vuol dire che quelli che hanno cominciato a scrivere così non sono stati ” corretti” dalla scuola, che si è lasciato perdere, che i media non hanno dato buoni esempi e che tutto questo ha permesso l’estendersi dell’uso! E questo è una cosa buona o cattiva? La lingua si è sempre trasformata, ed è bene che cambi, è un elemento vivo, ma il cambiamento deve avere dei paletti culturali e logici da rispettare, certe guide da seguire, o va bene tutto? La trasformazione di una parola è automaticamente “cosa buona e giusta”, o può essere solo il segnale di una decadenza generale della cultura , di un’ignoranza diffusa che ha messo radici profonde e che ormai si vede come un male incurabile? Insomma…i vocabolari, la Crusca e compagnia bella, accettano ” scenza” con convinzione o, non avendo voglia, o forza di combattere questo genere di battaglia, o anche solo nel timore di venire essi stessi considerati ” vecchiume” ,stanno facendo ” buon viso a cattiva sorte”?

    4. Carla, riporto le tue parole per una necessaria puntualizzazione. Scrivi: “Insegnando poi, ho corretto spesso la parola “scienze” che molti miei scolari scrivevano senza i. Tuttavia proprio a quel tempo – circa trent’anni fa – il vocabolario della Zanichelli uscì ammettendo la forma da me ritenuta sbagliata”.
      Ad onor del vero e per correttezza devo dire che posseggo uno Zingarelli (della Zanichelli, appunto) nell’edizione del 2010; e lì la parola è scritta correttamente e non c’è traccia della voce “scenza”. Quindi, se pure prima l’errore c’era , già dodici anni fa era bell’e corretto.
      Vero è tuttavia che lo Zingarelli con i neologismi e altri tipi di “innovazioni” linguistiche s’è mostrato sempre molto generoso ed “ospitale”. Anche se, almeno fino al 2017, non aveva ancora registrato il “petaloso” del piccolo Matteo della scuola elementare Marchesi di Copparo ( FE).

      1. Allora la cosa fece un certo scalpore. Tuttavia era il periodo in cui la Zanichelli viaggiava con il vento in poppa e pubblicava anche gratuitamente libri di autori sconosciuti. Poi le cose cambiarono e fu costretta a chiudere una delle librerie storiche di Bologna. In trent’anni chissà quanti mutamenti ci saranno stati soprattutto ai vertici della casa editoriale e nelle sue scelte! Il mio era un esempio di “storpiatura” di una parola non un neologismo come il “petaloso” che però pare esistesse già.

  8. Cara Lidia, non avertene a male se qualche volta ti punzecchio un po’ ma essendo tu la sola presenza fissa di questo blog con chi mi posso divertire altrimenti? Tu, da buona toscana ribatti pure, dato che lo fai sempre con molto garbo. Ciao

    1. Beh, Carla…io sono toscana, è vero, qui sono ospite e cerco di essere garbata … ma il fatto è che noi toscani siamo ” maledetti” ! non per nulla, come dice Malaparte, il Papa non passò dalle nostre terre non perché era offeso che i Toscani avessero detto che se passava di qua gli mettevano le budella in mano, ma perché sapeva che gli ce le mettevano davvero !!! Ora …dico per ridere, ma anche per esser chiara : tu stuzzica quanto ti pare, ma bada che io non sono un agnellino…magari oggi rispondo con garbo, domani per niente e dopodomani potrei tirar fuori il forcone del ” poro nonno ” ihihi

  9. Caro Luciano, la mia cultura prettamente scientifica – sono laureata in matematica – non mi permette di entrare in merito a questioni filologiche con cognizione di causa. Dico soltanto che, essendo il linguaggio un mezzo di comunicazione, si devono adoperare le parole, anche se originariamente scorrette, che con l’uso ripetuto appartengono alla maggioranza. E lo ripeto perché, avendo insegnato nelle scuole medie inferiori, ho dovuto modificare molto il mio modo di parlare per farmi capire dagli alunni. Ritornando a quanto sopra, qualcuno sostiene che il termine Avvocata – che Pasquale utopisticamente crede che con il tempo si affermerà – venga usato soltanto a fini parodistici. Le parole si evolvono, assumono significati diversi, il cambiamento di un accento produce rivoluzioni impensabili come ad esempio “incùbo” e “incubo”. Le mie considerazioni, spesso in chiave ironica, non avevano la pretesa di verità inconfutabili ma erano fatte alla stregua della “casalinga di Voghera” ossia di una persona molto comune che vive tra la gente. E credo di essere stata chiara sin dalle prime battute. Comunque ti ringrazio per avermi data la possibilità di fugare ulteriori dubbi.

    1. Sembra proprio,Carla, che si combatta una battaglia permanente tra l’evoluzione spontanea della lingua e la sua regolamentazione accademica.
      Come osservano Lidia e Pasquale le infrazioni alle regole dipendono dall’ignoranza di larga parte della popolazione.
      Ma la lingua è democratica e in democrazia vince la maggioranza.
      Aggiungo che oltre ad errori di ortografia, grammatica e sintassi si verificano anche errori di significato.
      A tal proposito mi viene in mente il significato, puntualmente convalidato dai media, che sempre più si dà al verbo “implementare” ( che significa attuare, realizzare) confondendolo con “incrementare” , del quale assume il significato di “accrescere”.
      Con questa variazione semantica lo si vede usare in TV specialmente da politici e giornalisti, i quali ignoranti non lo dovrebbero essere e invece spesso lo sono.
      Voglio dire che se un errore linguistico viene adottato dagli operatori dei mezzi di comunicazione, il suo accreditamento
      viene accelerato e diventa inevitabile.

      1. Proprio così, Luciano, anche per quel “c’azzecca” che mi sta sullo stomaco più dei plurali femminili a Pasquale e con cui farei volentieri deplorevoli giochi di parole per i fruitori della locuzione.

  10. Prima di chiudere il sipario su questo post, vorrei esprimere il mio compiacimento per la qualità dei commenti e la mia soddisfazione per il confronto che si è instaurato tra gli intervenuti. Proprio come io intendo la funzione del blog: luogo di cultura e piazza virtuale di conversazione. Sarebbe auspicabile che partecipassero anche altri che per il momento si limitano a leggere. Insomma discutiamo. Almeno qui.

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