Luciano Domenighini legge ” Le pallide dita della luna” di Lidia Guerrieri

  LA POESIA “PROSIMETRICA” DI LIDIA GUERRIERI 

                         di LUCIANO DOMENIGHINI

               Collaboratore del blog “Glosse alla Vita”

 

Il primo verso che si legge in questa raccolta è uno splendido distico endecasillabo-settenario, bellissimo e vago, che definisce e rivela le ragioni, causa ed effetto, della sua poesia. È un magnifico verso d’amore che si addirebbe benissimo a un uomo che ha conquistato il suo cuore: invece è rivolto alla figlia , le belle parole sono quelle di una madre.

“La mia poesia è tutta nei tuoi occhi
d’edera e di corimbo …”

Delle sessanta composizioni presenti ne “Le pallide dita della luna” quest’ode alla figlia è in forma di “ouverture” ed è la sola che abbia un titolo ( “A Romina”). Le 59 che seguono sono contrassegnate da numeri progressivi.
“Versificare la prosa”, appare la soluzione espressiva, la scelta formale dominante della poesia di Lidia Guerrieri, e questo orientamento formale parrebbe una scelta opportuna, congeniale al taglio meditativo, ricapitolativo e autoanalitico di questi versi.
Raramente i periodi sono brevi. Spesso occupano intere strofe di quattro o di sei versi ma talora coprono arcate di versi anche più lunghe.
Malgrado sia vario e sovente ricondotto al linguaggio corrente e ad esso quasi ridimensionato, nondimeno l’eloquio poetico appare accurato, rifinito, capace in ogni momento di un colpo d’ala, di una similitudine inedita ( v. “L’occhio bovino dei lampioni”, p. 47), di un virtuosismo verbale ( “La giuncaia che fiuta il Maestrale”, p. 68), di un’invenzione raffinata ( “ci spigola un sorriso” p. 16), un’assonanza originale ( “graffia la catafratta” p. 16), una sinestesia sorprendente ( p. 26, “Quella neve di mandorli”) che ne elevano il tono e la qualità. A un occhio solerte non sfuggono tali ricercatezze e neppure l’ordine e la quadratura metrica di un congegno poetico che, a ben vedere, appare perfetto e sorvegliatissimo.
Sebbene in queste poesie più volte traspaia una preparazione letteraria egregia e una spiccata attitudine speculativa, solo in un caso la Guerrieri “sale in cattedra” esibendo una terminologia squisitamente filosofica ( “Essere”, “Nulla”, “Caos”, “Logos”, “Eros”), al N° 48 (“Io sono la Creatura,”), ritratto dell’essere umano, ragguardevole per la straordinaria capacità di sintesi concettuale.
Più che “rechèrche” e recupero del passato quest’opera poetica si potrebbe definire “cattedrale della memoria”, intesa però in senso ucronico, una sorta di riallineamento del tempo dove passato e presente (e anche futuro) si affiancano e si fondono in un’unica dimensione.
Fonte prevalente d’ispirazione è dunque “ciò che sta nella mente”, indipendentemente dalla sua genesi cronologica, tradotto in poesia sull’onda dell’iperpercettività di un momento del presente ( v. N° 32, “Entra dalla finestra e sul cuscino”), tramite trasmigrazioni lungo i sensi della memoria od oraziane meditazioni sulla fugacità della vita (v. N° 33, “Piomba la notte con un tonfo sordo”).
Che questo poetare possegga una forte valenza intimistica appare evidente osservando lo spiccato talento autointrospettivo di alcune composizioni ( v. a p. 56 la singolarissima “ode al respiro” o, a p. 50,  “Poter esser fumo, oppur vivace,” altrettanto singolare e originale declinazione poetica del cupio dissolvi). È comunque una poesia dicotomica, bifronte, che alterna una lucida lettura della realtà a momenti evocativi ed emotivi di intensa commozione.
È opportuno notare altresì l’uso sempre pertinente ed espressivo della punteggiatura, dei punto e virgola, ad esempio, che danno ordine e respiro a lunghi e articolati ragionamenti poetici; oppure degli esclamativi e degli interrogativi là dove l’eloquio si fa “impersonale dialogante” ( v. p. 49 “Che t’importa di quanto fondo è il cielo!”, p. 60, “Spogliamoci degli anni, ora che è sera”, p.37, “Fatemi festa, ché io sono l’angelo”, oppure a p. 45 “L’avete vista la ragazza bionda,” luminoso e tenero ricordo della madre in gioventù, a mio avviso, per la nitidezza cromatica del ritratto e la garbata levità dell’elegia, l’apice poetico di tutta la raccolta).
Qualche analogia nella poesia di Lidia Guerrieri si riscontra con quella di un poeta contemporaneo e suo conterraneo, Nazario Pardini: certa attitudine a versificare la prosa prediligendo l’endecasillabo e il settenario di ascendenza leopardiana e inoltre certa propensione a ripiegare su un tono mite, quasi dimesso, fatte salve poi improvvise accensioni di eloquenza oratoria o intensi abbandoni lirici carichi di pathos. La scrittura di Lidia tuttavia, appare più cogente, più disciplinata e osservante delle istanze metrico-formali, laddove il dettato di Nazario si concede, con la nonchalance del poeta consumato, qualche libertà di forma e di modulo.
In questa silloge, sua “opera prima” ( alla quale è augurabile ne seguano altre), Lidia Guerrieri si racconta e si confessa, portando alla luce i segreti nascosti del suo cuore, le sue memorie care; lo fa mettendo a partito una preparazione teorica di prim’ordine e un talento poetico non comune: senza reticenze, senza inibizioni, “tutelandosi”, per così dire, soltanto attraverso una forma metrico-letteraria impeccabile e, tuttalpiù, con qualche ornamentale sovraccarico di enfasi.
In Le pallide dita della luna si susseguono composizioni poetiche di pregiata fattura e assai varie per registro e contenuto. Su tutte aleggia un tono di mite, confidente saggezza, scaturito da un’elaborazione dei sentimenti vigile e profonda. Molti sono i pregi che un lettore attento vi potrà trovare. Ma forse il suo pregio maggiore sta nel dimostrare come nella poesia di qualità, sia che si esprimano stati d’animo sia che espongano concetti, qualunque ne sia il clima emozionale e lo stile adottato, debbano vigere un rigore, un ordine, una misura.
Detto tutto ciò, è giusto dire infine che quest’opera, al di là del lodevole impegno compositivo e dei conseguenti pregevoli risultati formali raggiunti, assolve pienamente a un compito che ogni libro di poesia lirica dovrebbe avere: essere testimonianza e messaggio, urna di sentimenti, rifugio e consolazione dell’anima.

 

Luciano Domenighini

 

 

 

 

Da  Le pallide dita della luna di Lidia Guerrieri :

                     N° 18

Di là dal muro di finestre estive
accese nel silenzio delle rondini,
un mondo perso giunge nel mio buio
sulla fresca panchina al flutto scuro
dell’ombra dei carrubi.
E’ un cicaleccio di bimbi in vacanza,
risate, acciottolio, profumo d’alga
e di capelli umidi di mare.
E fisso, zitta, la fosforescenza
d’oro degli occhi scaltri dei randagi,
dentro questo pulviscolo di amara
e dolcissima pena, spettatore
di qualche cosa che appartiene ad altri.

                     N° 24

Dal frumento del nostro primo incontro
ci venne, al fuoco dell’ostinazione,
un pane dalla crosta come pietra.
Chiusi nel muto guscio,
tappata ogni fessura, ci braccammo
fiutando a terra l’orma dell’errore
e divennero tacche di furore
le reciproche colpe
con puntigliosa precisione incise.
Terra di sassi e ortiche
è il campo che bruciava di papaveri;
ci resta l’aspro orgoglio
di non aver mai fatto il primo passo.

                   N° 31

L’avete vista la ragazza bionda,
odorosa di mare e di bucato
per le vie alla Marina?
La rondinella svelta e magrolina
dai deboli occhi azzurri tutti un riso?
Sarà passata presto, stamattina,
nel grembiule a quadretti,
le calze grosse rammendate ad arte.
Va a spolverare tombe, quasi all’alba.
e poi di casa in casa,
fringuello che sfaccenda gorgheggiando
e dall’aurora torna al nido a sera.
Non parrebbe, ma a casa ha una bambina
che ha freddo ed ordinate vesti smesse,
oro di nonne e  baci,
vuoti nel cuore, ma la bocca piena.
L’avete vista, dite, la mia mamma?
Io la ricordo appena!

                N° 32

Entra dalla finestra e sul cuscino
s’adagia il suono delle notti estive.
Voci di donne sopra la panchina
e un’impronta di mare e di scirocco
nel bisbigliare quieto, ininterrotto
che va, che viene, col sommesso andare
d’ una voce che in altra voce affonda
riaffiora, si disperde , si ritrova,
altalenare d’onda
testarda che ripete sulla riva:
“io sono l’onda! L’onda!
Io vado, ma ritorno,
vado ma sempre torno …sempre torno
ai nostri due destini!”
E sono  insieme, voci di bambini;
mi vedo con le trecce in mezzo a loro:
risa di cerchi e giochi,
e laggiù un echeggiare di campane:
“Io sono il tempo,
giro la ruota, tutto cambia intorno!
E sempre vado avanti,
io non ritorno!
Mai più ritorno!”
E come in un ninnare di rintocchi,
ecco che le distinguo
e riconosco;
voci lontane, sperse nel profondo,
tornano a sussurrare dolci e piane
le parole sfogliate di anno in anno,
si smorzano ed in esse mi confondo;
ronzio che mi accompagna e che si perde
sulla porta del sonno.

                         N° 39

Sto come Prometeo sopra la rupe;
la differenza è che non c’è grandezza
in me, nemmeno l’ombra!
solo la croce d’un rosichio
d’ansie, pene e paure.
Sopra i picchi dei secoli è già spenta
senza aver mai brillato la mia luce.
Ombra fra l’ombre che non fanno storia,
cammino a fior di sabbia,
viandante senza traccia e senza voce.

  Lidia Guerrieri

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Luciano Domenighini è nato nel 1952 a Malegno (BS)e vive a Travagliato, sempre nel bresciano.  Ottenuta la Maturità Classica si è laureato in Medicina e ha svolto la professione medica nell’ambito  della Medicina Generale. Nel periodo universitario, a Parma, presso una radio locale ha condotto per quattro anni una rubrica radiofonica di musica operistica.  Come poeta ha pubblicato quattro raccolte di poesie:  Liriche Esemplari (2004), Le belle lettere (2017) e Il giardino dei semplici (2019), Esercizi di rima(2020); come critico letterario, un’antologia di profili critici di poeti emergenti ( La lampada di Aladino, 2014) e infine, in veste di traduttore, due raccolte di traduzioni dal francese (Petite Anthologie, 2015, Saggio di traduzione, 2016) e due dal latino ( Poemi didascalici latini, 2017 e Poeti satirici latini, 2019). Attualmente ha in preparazione una nuova silloge poetica, un’antologia di critica letteraria e una raccolta di traduzioni dal greco.

 

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6 risposte

  1. Due cose mi colpiscono in queste belle poesie di Lidia a me finora ignote: l’intensità degli affetti (in particolare nella n. 31) che si effonde ampia in ogni singolo verso, e la dolce, delicata, viva e spesso inedita interpretazione verbale che regge e connota un mondo poetico veramente accattivante, dandocene saggi di indiscussa bravura.
    A Luciano va riconosciuta una particolare abilità nel porsi di fronte al testo poetico captandone, con intelligenza esegetica e acume critico, gli aspetti salienti e illustrandone, con acribia, tecnica, metrica e stile.

  2. Che devo dire!? Sono sorpresa, commossa, lusingata da questa analisi così precisa, intensa che va ben al di là dei miei meriti e scopre nella mia poesia cose che io non vedevo. Luciano Domenighini è poeta esperto e sensibile, critico intuitivo e capace, e che abbia volto la sua attenzione anche ai miei versi è per me una gioia e un onore, Grazie a lui, dunque, e grazie a Pasquale Balestriere per aver guardato anche a me fra tanti veri poeti che ha incontrato.

  3. Caro Luciano, bellissime le poesie di Lidia e altrettanto bella la tua acutissima recensione. Tuttavia non capisco ancora appieno quel “prosimetrico” su cui insisti tanto e che, di primo acchito, parrebbe quasi essere un limite del testo.
    Sono prosimetrici “la donzelletta vien dalla campagna” o ” i cipressi che a Bolgheri alti e stretti”?
    Mi faresti, per cortesia, un esempio di verso prosimetrico di un grande autore e di uno invece che non lo è appartenente alla poesia d’élite? Te ne sarei infinitamente grata.

    1. Il prosimetro, Carla, è un genere letterario dove si alternano, separatamente, testi in prosa e testi in metrica.
      Quindi l’aggettivo “prosimetrico” che io uso parlando di un unico testo che aduna sia caratteristiche della prosa che misure metriche, è abbastanza scorretto a meno che lo si intenda come un neologismo.
      Come detto prima io intendo un testo disposto in versi compiuti che però, se scritto in modo lineare, appare come un testo di prosa a tutti gli effetti.
      Un testo dove non è dominante la componente ritmico-fonetica, data dagli accenti e dalle rime.
      Nei due esempi ( Leopardi e Carducci) che fai tu, questa componente mi pare dominante e anche scrivendo e leggendo il testo messo per esteso, si noterebbe.
      Anche quando tu Carla utilizzi l’endecasillabo sciolto senza rime ma sempre con la stessa accentazione, pur mancando le corrispondenze fonetiche delle rime, la componente ritmica io la sento dominante e quindi per me non si tratta di testi “prosimetrici” come li intendo io.
      Gli endecasillabi e settenari di Lidia sono più in equilibrio fra prosa e metrica, e si possono leggere in entrambi i modi.
      Un caso particolare e straordinario di “testo prosimetrico”, è il sonetto foscoliano “A Zacinto”, dove il primo periodo è lunghissimo coprendo interamente gli undici versi delle prime tre strofe e ha una struttura sintattica assai articolata, tipica della prosa, con una proposizione principale e ben sette subordinate, ma, al contempo ha un impianto metrico rigoroso, sia per gli accenti che per le rime.
      Quindi si può leggere come un testo di prosa ma anche come un testo chiuso.
      Va anche detto che nella poesia del Novecento e in quella contemporanea il confine fra prosa e versificazione è diventato piuttosto labile.
      Avendo comunque premesso che l’aggettivo da me usato non è del tutto ortodosso, spero di averti spiegato come lo intendo io.

  4. Di nulla Carla.
    Restando in ambito sanitario e per tranquillizzarti ulteriormente ti posso
    assicurare che “prosimetrico” non ha nulla a che fare col Covid.
    Scherzi a parte ti ringrazio per avermi fatto notare l’imprecisione del termine.
    Anche Pasquale, d’altra parte, mi aveva chiesto dei chiarimenti.

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