Lidia Guerrieri
“Sono nata a Piombino (LI) il 10 – XII -1946. Ho frequentato il Liceo Classico e mi sono laureata a Pisa nel Marzo del 1972 in Lettere, ma con una tesi scientifica , sperimentale “ L’attività estrattiva del massetano nei suoi riflessi antropogeografici”, tesi che è stata ridotta dopo la Laurea a trenta pagine per la pubblicazione da parte dell’Università dato che gli studi sulle miniere del massetano si fermavano all”800 con Bernardino Lotti, per cui non esistevano testi da cui attingere. Infatti la mia tesi è stata scritta sul campo, direttamente al Corpo delle miniere di Grosseto, faccia a faccia con l’ispettore minerario che allora seguiva i lavori. Post lauream ho conseguito due diplomi di specializzazione sui problemi dell’Africa all’ Istituto Italo -Africano” di Firenze. Ho insegnato in scuole di vario ordine e grado per oltre trent’anni. Nel 2015 ho iniziato a scrivere versi, per passatempo, poi mi sono interessata alla metrica ed ho aperto un gruppo su FB dove ho raccolto persone interessate a scrivere in metrica italiana e barbara. Non partecipo a concorsi e non pubblico. Il mio solo libro di versi è Le pallide dita della luna che ho pubblicato solo perché la pubblicazione era uno dei premi messi in palio da un Concorso , l’unico a cui ho partecipato, nel 2018, perché mi attirava l’idea del Premio Speciale per la Metrica. Lo vinsi. Ma siccome la mia canzone petrarchesca risultò avere un punteggio superiore anche a tutte quelle in libera, sezione a cui non avevo partecipato, e questo non era stato previsto, ebbi anche il primo premio assoluto ex aequo con un altro poeta e proprio in questo premio generale era offerta la possibilità di una pubblicazione. Da diversi anni sono giudice al Concorso Voci, con particolare riferimento al campo della poesia in metrica.”
Una poesia particolare, quella di Lidia: va dritta all’oggetto poetico, lo scova, lo scava e lo dice con una sapidità tutta toscana; ne dichiara la bellezza e la forza con totale franchezza, con stupita e stupefacente carica creativa e insieme con grazia e dolcezza. (Pasquale Balestriere)
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A UN PASSO DALL’ ABISSO
Forse, chissà, ripareremo il guasto;
o forse no. A un passo dall’abisso
si agita il mondo, in balordo equilibrio,
come vecchia baldracca impellicciata
che a piedi scalzi, fra cembali e sistri,
saltella, frastornata, in pianto e in riso.
Persa la strada, non si riconosce
nell’ ibrido bislacco,
cencioso e ingioiellato, smunto il viso
di fame e rabbia, deformato il ventre
da troppo o poco cibo.
Millenni di cadute, ne hanno fatto
questo ammasso di lusso e di miseria.
Forse domani aggiusteremo il guasto.
O forse no.
A LAURA
M’è entrato dentro casa stamattina
l’odore buono della tua minestra,
e m’ha riempito il cuore.
Sei ritornata, alfine, amica mia!
Chissà in quali regioni
che nemmeno ricordi ti ha portata
il respiro affannoso e quasi spento!
Ma sei tornata,
in questo giorno tiepido e leggero,
fragile elfo del giardino accanto,
alle piccole aiuole
come le mie pelate
( noi siamo giardiniere da tre lire),
al cane giallo, assassino di trine,
alla famiglia, al nido;
sei tornata, col solito sorriso,
con gli occhi grandi e scuri
lucidi di pietà pel mondo intero,
come puledra, come coccinella
sorridente e sperduta
fra i palloncini della tua vestaglia.
Riprenderai il tuo volo verso sera
da brava capinera
nell’aura della lampada chinata
su lunghi conti e carte,
bruna falena al lume della luna,
così minuta e fiera.
Canta il mio cuore, amica
sei tornata!
ALTA MAREA
S’ alza e arriva alla gola
l’alta marea di una stanchezza che
appesantisce il cuore e svuota l’anima
quando dalla finestra
chiama con voce liquida la pioggia
o il vento graffia corrucciato all’uscio
ché più non trova vie per farmi visita.
Lo conoscevo bene alla Marina
nell’età ricca di tempo e nient’ altro,
quando era il tetto ricolmo di luna
ed il braciere vuoto.
Una stanchezza quieta ora mi prende,
come di stelle che piano si spengono;
ed è ritorno al freddo salmastrino
che mordeva le mani
traducendo in vapore sulle labbra
le giovani parole di Latino.
È dissolversi, senza voglia, in fondo
alla noia di questi giorni tiepidi
che quasi senza voce si trascinano.
IL BACIO
Pare placarsi l’ansia di infinito,
l’inquieta spinta che ci eleva e rode,
nel limitato cerchio di un abbraccio,
spazio da nulla,
dove si fanno cenere i pensieri,
e si sciolgono i ceppi della terra
per giogo scelto e per scelte catene.
Abisso d’abbandono
in cui impensati mondi si dischiudono
a un chiudersi di ciglia,
e affonda le radici quella fragile
pianta del tu bambino
che teme l’ombra della solitudine
e con sorpresa sugge per un attimo
la completezza che quaggiù ci illude.
ARMONIA
Di là dal brusio del canneto
svetta fra ulivi e campi, in controluce,
la ragnatela di una chioma nuda .
L’inverno si allontana dietro il colle
biancheggiante di sole,
curvo al peso dei giorni e dei rimorsi.
Sarà pietosa questa Primavera?
Palpita il verde lungo i fossi e gli argini
colmi di canti ignari. È l’armonia
del suono delle origini,
che germogliò sereno alle radici
dell’ordine del cosmo
quando dal caos emerse la Scintilla,
e, al lento passo, dalla veste tinnula
cadde la prima nota.
A MIA MADRE
Come germoglio di te in questo mondo
mi consegnasti al nulla,
mamma che persi prima della fine,
quando i ricordi si fecero polvere.
Come ci costa caro il breve viaggio
su questo nodo di spine e miracoli!
Ancora, vedi, lo sento alla gola
il doppio tralcio che mi aprì la luce,
e stringe e offusca il chiaro delle stelle.
Ma è dolce sbriciolare fra le dita
una zolla odorosa, grande l’insegnamento
dell’erba testarda e del rovo
che né aggredisce, né indietreggia o teme.
Fiorisce in ogni dove la bellezza
di quello che non dura
mentre cambia la forma delle nuvole,
mentre si spoglia l’ albero e fra le ossa
ti si rivela il cielo.
GIOIA
La mia piccola Gioia non ha cuore
né anima o sorriso; ha lo sguardo
dei bimbi che non ebbero l’ infanzia
né corse senza fiato,
fiori spuntati su argini scoscesi
nell’impietoso freddo della luna,
gemme che delle api
conobbero anzitempo il pungiglione.
Ha lo sguardo di chi sa la fatica
di un sorso d’aria, e per questo io l’amo
come se il freddo delle sue gambette
di gesso fosse il caldo del mio sangue.
E per questo la scelsi
fra tante bambole buttate via,
perché senza sorriso e con poca fortuna;
e per questo la tengo lì, seduta
sul comodino, in abitino nuovo,
col suo nome di luce,
e nei suoi occhi senza più la polvere
dell’abbandono mi piace vedere
un sorriso piccino di speranza.
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4 risposte
La poesia di Lidia a prima vista appare piana ed accessibile, conversante, spesso attinta dal linguaggio corrente e comunque lontana dalla versificazione sostenuta, scolpita e lapidaria.
Osservandola meglio vi si trova un lessico ampio e talora ricercato, un’immaginazione fervida nelle metafore e nelle similitudini, una puntuale nitidezza delle immagini, nonché una naturale propensione per brevi e improvvise aperture liriche cariche di pathos e di commozione.
È una poesia appassionata, animata e governata dagli affetti, una poesia che, su questo terreno, non disdegna l’enfasi.
Talora vi si rintraccia una sentenziosita’ moraleggiante.
Sebbene Lidia sia un’esperta di metrica e abbia dimostrato di saper comporre agevolmente in svariati schemi metrici, il suo modello metrico elettivo sono gli endecasillabi e i settenari della canzone leopardiana.
Cara Lidia, è difficile fare un commento dopo quello di Luciano che sa sviscerare in profondità tutte le componenti di un testo. La tua poesia mi piace moltissimo perché è spontanea priva di una forzata ricercatezza in quanto tutti i termini che usi appartengono al tuo lessico quotidiano anche se questo non è quello di tutti.
Non vado ad avventurarmi negli altri lati del tuo scrivere proprio perché Luciano ha detto tutto e bene ed io sono la letterata della domenica senza basi solide avendo – come ho detto più volte – una cultura prettamente scientifica.
Un consiglio però ti voglio dare: partecipa ai concorsi. Anche se molti di questi sono mezzo taroccati non tenendo spesso conto solo del merito, ma anche di altri fattori per la premiazione, quando si riesce a vincere solo con le proprie forze, senza sollecitazioni di sorta, è un gran soddisfazione. E poi si vedono luoghi straordinari che non avremmo altrimenti mai visitato e si fanno amicizie con persone altrettanto straordinarie. In Toscana ci sono un’infinità di Premi letterari. Riprova e non ti pentirai!
Ringrazio innanzitutto Balestriere per avermi reputata degna di stare con persone davvero brave, in questo blog serio e curato, e poi voi, amici per la vostra benevolenza. Luciano mi conosce da tanto e direi che sa tutto di me, mi legge come un libro aperto. Riguardo ai concorsi, cara Carla, io non sono portata per queste cose; non mi considero un poeta, ma un costruttore di versi, non mi dedico anima e corpo alla poesia che per me è solo un passatempo come tanti altri. Direi anzi che mi sono accostata alla poesia solo per interesse verso la metrica in sé, per i suoi meccanismi, le sue eccezioni, le sue sfumature e che non ho mai sentito quell’urgenza di scrivere che, mi dicono, avvertono i poeti. I concorsi non mi interessano : l’idea stessa di essere giudicata da chicchessia non mi piace. Diciamo che ” da me me le suono e da me me le canto “
“In medio stat virtus” sembra dirci Lidia Guerrieri e all’essenzialità ci richiama delle piccole cose, a quella quotidianità che è fatta di familiarità, amicizia, amore, alla sacralità trascurata di ciò che ci circonda “, del grande insegnamento dell’erba testarda e del rovo”, “senza più la polvere dell’abbandono”. Poesia vera questa in cui Lidia Guerrieri compie quel miracolo di parola di salire in profondità di cuore e di mente tanto da riconoscerci nei suoi versi dove l’odore della minestra, à la recherche du temps perdu, diventa effluvio magico che consente all’anima di espandersi intera mostrandoci l’intimo del proprio sereno sentire nostalgico di quei valori ” nell’età ricca di tempo e nient’altro” ormai perduti. Una vera Poesia per come mostra di anelare ad un infinito di leopardiana memoria, voluto ed immaginato al di là di impedimenti ed ostacoli. Una Poesia ricca nel lessico e nelle metafore, con quell’andamento sospeso impresso dalle numerose parole sdrucciole alla sonorità affidata all’alternanza di endecasillabi e settenari.