Un poeta per volta: Lido Pacciardi

                                     LIDO PACCIARDI

 

Lido Pacciardi, ricercatore fisico in pensione, vive a Collesalvetti, in provincia di Livorno. Appassionato di poesia,  mitologia e arte in genere, ha pubblicato vari volumi di versi e d’altri scritti.  L’opera certamente più impegnativa (circa mille pagine) è l’ Esopo in Toscana che contiene tutte le favole esopiche “messe in versi ed in rima nella fresca parlata toscana”.

“Come avrai visto – mi dice il poeta –  scrivo quasi sempre in rima, un modo oggi poco gradito a molti. Ma la rima mi vien naturale, per antica usanza all’ascolto delle declamazioni dei nostri maggiori da parte di mio padre Ferdinando, cantore d’ottave toscane all’impronta, che da bambino mi ha nutrito di versi e rime.”

Affidiamoci dunque al nitore della parola, alla musicalità del metro, ai fermenti di vita che intridono questi versi.

 

 

      La fine del giorno 

Nell’ora del giorno più stanca
romita discende la sera
con l’ultimo brillo che manca
col tremito d’una preghiera.

Si velano i monti lontani
sfrangiati d’azzurro più fioco,
si spengono, rossi, i gerani
nel loro velluto di fuoco.

Risale dal fiume più bianca
la nebbia che in basso vapora,
traversa le sponde, rimbianca
la piana che tocca e scolora.

Si accendono come pupille
ardenti finestre sul colle
tra lampi di gemme, scintille
di fiori di cento corolle.

Son occhi nell’ultima luce
che imploran l’estremo bisogno
che vive d’eterno e conduce
nel regno incantato del sogno.

Nel cuore discende leggero
un ansito lieve di pianto,
soffrire d’un nulla più vero,
d’un nulla che passa già infranto.

Rimane sospeso, lontano,
un murmure d’eco di mare,
un fioco flottare nel vano
singhiozzo ove tutto scompare.

Pian piano s’acqueta d’intorno
la fronda d’ogni albero e tace;
s’inchina alla fine del giorno
che muore, che porta la pace.

 

            Notti fanciulle

S’inginocchiava vergine la sera,
distesa sulle rive lungo il fiume
in una dolce flebile preghiera,
lenta e ravvolta in un sopor di piume.

Udivo, in un turgore taciturno,
il frusciare dell’erbe alla corrente,
il bubolar del gufo, nel notturno
vano implorare, disperatamente.

Dentro i chiarori vissi delle notti
tra il queto riposare dei canneti,
tra i graffianti lamenti ininterrotti
delle rane in amore lungo i greti.

Ed ero solo. Quello fu il mio regno
dove fanciullo appresi dalla vita,
dove dentro al mio cuor rinchiusi il segno
d’una età d’oro, non ancor smarrita.

Quelle notti ritornano, intoccate,
ora che intorno a me tutto s’abbruna.
Ritornano dai sogni dell’estate,
nel lumeggiar dell’acque nella luna.

 

                               ******

 

 

 

 

 

 

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8 risposte

  1. Caro Pasquale, ti ringrazio per aver dedicato la tua attenzione a questi miei versi.
    Il mio scrivere in rima – come bene hai detto – non è un atteggiamento “antiquario” nei confronti della poesia, ma fa parte della mia natura e del mio modo. Per me è più agevole e appagante che scrivere in versi sciolti. In più… mi diverte.
    Grazie ancora.

  2. Poesie molto belle di un Autore che non conoscevo. Questi testi, classicheggianti sia nella forma che nei contenuti, mi hanno commosso perché mi hanno ricordato molto quelli di mia madre, vissuta in un’epoca in cui si insegnava ancora a scuola come destreggiarsi tra metrica e rime. Complimenti!

    1. La penso come te, Carla; la poesia vera non tramonta mai e mai perde il suo fascino. E la cosa più bella è questa, e la dico onestamente : io, per esempio, non scrivo in rima, non mi riesce, non mi viene naturale e quando lo faccio è perchè lo voglio fare, mi costa una relativa fatica e lo scopo è solo di ” fare esercizio”, ma per Lido la rima è cosa spontanea gli viene da sè, prende la penna, scrive …e la rima è lì, pronta, giusta, bella e armoniosa…naturale insomma!; per quanto ne so ha poppato latte e rime perchè in casa gli leggevano i grandi poeti fin da piccolo!

  3. Se leggessi, ora, Lido Pacciardi per la prima volta, questi due brevi lavori, mi basterebbero a capire di essere davanti ad una persona che sa come si scrive. La poesia di Pacciardi è quel genere di poesia che ti apre le porte di un mondo che oggi alcuni tendono a mettere da parte. Intendo dire questo: la poesia, come ogni arte, come ogni cosa, si trasforma col tempo: i temi restano più o meno gli stessi, ma cambia la maniera di esprimerli. E questo è giusto, ma…siamo onesti! Si vedono a volte certe “ stranezze” che della poesia non so proprio che cosa abbiano…!! Pacciardi ci apre l’uscio di quella che qualcuno chiamerebbe “ la poesia di una volta” e che io considero sempre attuale, quella poesia limpida, preziosa che, fra le sue molte virtù, ha anche quella di non richiedere pala e piccone per trovare un significato nascosto che alla fin fine è sempre quello dato che l’uomo è sostanzialmente lo stesso : con le sue paure, le sue ambizioni, le sue passioni. Intendiamoci! Non dico che la poesia debba spiattellare sempre tutto e farlo in maniera elementare…è giusto che abbia la sua parte di mistero, che si avvalga di metafore, similitudini, inversioni, che usi, insomma, i ferri del mestiere, ma è giusto anche che chi scrive non calchi la mano per “ apparire interessante” e che, se il lettore fa un passo verso il poeta per comprenderlo, anche il poeta ne faccia uno verso di lui e non gli sfugga troppo. Leggendo le poesie di Pacciardi non solo apprezzo la sua bravura di scrittore, ma anche la sua capacità di intrecciare un linguaggio moderno ad espressioni preziose che non appesantiscono, ma conferiscono un fascino speciale ai suoi versi, vedo l’uomo col suo amore per la vita all’aria aperta, per i boschi, le campagne, e vedo quella che mi piace chiamare la sua “ seconda personalità”. Perché, mentre scrive, Pacciardi dipinge; quel gusto per il paesaggio, per i colori che creano atmosfere ce l’ha nel sangue, eredità in comune con lo zio Anchise Picchi, scultore e pittore, un dono che si è espresso nei due attraverso strade diverse ma che è lo stesso.

  4. Già che ci siamo, mi vien da esprimere anche la mia opinione in questo salotto letterario virtuale (e sarebbe bello se anche altri, che pur vengono a leggere, commentassero a loro volta).
    In un testo che vuol essere poetico occorre innanzitutto la poesia; la quale, occorre ribadirlo con forza, “si cerca” gli interpreti, cioè i poeti. Anche quando questi pensano di essere loro a cercare la poesia. In realtà il poeta è una sorta di medium, una cassa di risonanza, uno strumento, che fornisce voce, suono e ritmo alla poesia; che ne permette la vita. La poesia esiste a priori, sta nella natura umana, abita nell’uomo in forme e modi diversi. Si svela come stimolo impellente alla manifestazione di un’interiorità affettiva e sentimentale così intensa da rompere gli argini per riversarsi nelle varie forme artistiche.
    Stringendo ulteriormente il discorso, quello che conta veramente è riuscire a comunicare la poesia, quale che sia il linguaggio usato, o la tecnica o il metro. Personalmente vado a caccia di poesia e poco m’importa se il lessico o lo stile sia più o meno al passo con i tempi. Che dire allora di certe becere e ridicole corsettine in avanti di “avanguardisti” ed esploratori senza né arte né parte? Che nel petto hanno il gelo e vogliono fare poesia a tavolino? Occorre dunque che vi sia poesia nei testi proposti; e che la comunicazione di tale poesia, in qualsiasi forma sia attuata, risulti efficace e comprensibile al destinatario o fruitore (che però non dovrà essere digiuno di cultura linguistico-poetica): cosa che su questo blog accade. Questo conta. E questo basta alla poesia.

  5. Nella poesia di Lido Pacciardi, per l’unità della linea lirica, tutta improntata a un tono di mite, sofferta eloquenza oltre che per la sobria nettezza delle aperture descrittive, appare evidente la radice pascoliana.
    Lido dimostra di aver compreso a fondo i modi poetici pascoliani e di saperli adattare perfettamente alla propria dimensione artistica.

  6. Ringrazio dei benevoli commenti e colgo l’occasione per esprimere il mio pensiero su ciò “che deve essere e fare” la poesia: comunicare, cioè suscitare emozioni. Indipendentemente dalla rima o no, ma sempre seguendo regole e scansioni che la rendano musicale, non banale, eufonica. Non bastano, secondo il mio modestissimo parere, pensieri profondi, originali, che ci vogliono certamente, ma anche una scorrevolezza senza asperità ed inciampi, in un tutto unico che basti e completi armonicamente se stesso. E non valgono forzature, artifici linguistici che spesso ne induriscino il percorso… La Poesia è, per me, una fragile farfalla: se la stringi troppo… non vola più.

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