Labuntur anni

Il nichelino che ancora ci resta
da spendere è moneta ormai da niente
che a valutare sonante t’ostini.
Presto, roche lucerne, abdicheremo
al soffio d’aria ch’ora ci appartiene,
che svanirà d’incanto per comporsi
in nuove incarnazioni e sentimenti.
Perciò non ti accanire più a sentirti
radica ruderale, antico ceppo
ubriaco di polloni,
cuore pulsante d’agreste vigore;
e lascia stare ogni sopravvivenza
ché, come sai, troppo spesso la storia
nel suo svagato e vano
andare divinizza immeritevoli
parvenze, semplici giochi di luce.
Ed ecco, muore il giorno appeso a larve
di colline, oltre crinali avvampati
rotola il sole. E nell’acre sospiro
del tramonto c’inseguono
effigi primordiali di memorie,
ardenti archetipi, muta feroce.
Ora poi che l’ostiario s’è assopito
infilano la porta e al largo sbandano
senza rispetto d’icone sbrigliati
pensieri: seminato
pianto, infruttifero grido di giorni
che
—il pio occidente
——————–accoglie.

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