è morto ieri

È morto ieri il barbone tra due
fioriere, stanza da letto di Piazza
Marina. È morto il gigante barbone
nel suo cappotto-bara tra gelati
soffi (saranno paghi i farisei
della turistica immagine, sgombro
il porto della sua presenza). Eppure
gli bastava che la luna stillasse
per lui viniferi grappi di luce
e di calore, compagno il brillio
confidente delle stelle; bastava
che gli pungesse le narici il salso
sapore di mare in sprilli di brezza,
che gli danzasse agli occhi di gabbiani
un volo, mentre cuccioli indifesi
nelle tane uggiolavano del cuore.

Chiusi i conti del dare e dell’avere
d’impareggiati bilanci. Che conta?

Io, per me, so solo che s’è chiuso
il giro d’un volto ispido ma chiaro
che una volta m’offrì tutto il suo pane
e mi sorrise dall’aspro pastrano.

Altri scritti dello stesso autore:

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email

6 risposte

  1. Anche una vita apparentemente insignificante ci può mancare, colpire, far riflettere su temi esistenziali. Per qualcuno sarà soltanto un voluminoso pacco in meno sulla banchina del porto, ma per l’universo sarà anch’esso una piccola luce che si spegne e fa brillare di meno il nostro cielo. Almeno io lo spero.
    Adele Libero

  2. Mi piace la maniera con cui il poeta ci racconta questa storia: con una pietà virile che non ha niente a che vedere con certe lacrimevoli espressioni , plateali e poco credibili che della poesia hanno solo l’intenzione. Il suo annuncio è semplice e diretto :” è morto ieri il barbone”…uno qualunque, uno senza nome. Non c’è bisogno di accorati appelli sull’onda del “ non deve accadere più” ( quando si sa bene che accadrà ancora e spesso) o di inutili accuse. Al poeta basta un’espressione chiara, composta , fredda come una coltellata :” nel suo cappotto-bara”: chi non è sordo intenda… il dito è già puntato contro una società che chiacchiera e permette qualsiasi cosa .
    C’è simpatia per questa persona che ha saputo o forse voluto vivere in una maniera difficile ma libera ( o forse libera ma difficile), e che ha saputo vedere e capire cose che tanti di noi vedono ma non comprendono più : la luce della luna, l’odore del mare, il volo dei gabbiani.
    E c’è affetto, lo vedo, lo sento in quell’espressione “ cuccioli indifesi ( che) nelle tane uggiolano del cuore”…il poeta gli ha letto dentro : un gigante dall’anima pulita, indifesa, semplice , nascosta all’occhio del mondo dentro le profonde, segrete, calde tane del cuore, dove sta l’essenza di chi sei, dove nessuno vede se non col cuore. Come può, chi legge, non avvertire un moto di affetto per un uomo così? Per un uomo senza nome ma non senza volto ( perlomeno non per chi scrive), un uomo capace di donare un pezzo di pane… e non c’è dono più grande di quello che ti viene da chi ti offre tutto quello che ha.

  3. Caro Pasquale,
    la tua lirica, voglio chiamarla proprio così, tracima da ogni punto di vista, una grande umanità che tu hai disegnato con commovente intensità. Il culmine, di rara poesia, è dato dall’offerta del pane, grande grandissimo gesto d’amore e fratellanza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *