L’urlo grigio dei cani,
compagno della mia solitudine,
trapassa i cristalli della notte.
Ho respirato lunghe stagioni
di silenzi.
Lontano nel tempo
–infocato giorno d’estate–
andavamo Ilia ed io,
sospesi tra lame di mare e di sole.
E nel rauco grido del falco ferito
che gettava via con ira la sua anima
dall’alto picco
fummo morte, canto e luce.
Era il delirio dei vent’anni.
Ora, croce del tempo passato, solo
memorie mi avanzano e gabbiani
che bevono in larghe folate spazi incolori.
Posso comunque cantare con penna
di sangue e di fango. Altri
ha penna leggera e scorrevole
che non fa storie per scrivere.
E sono invidioso dei facili canti
che non conoscono il pianto
perché troppo spesso nella biblioteca della vita
ho sfogliato i volumi del dolore.
Sotto i ponti del tempo scorrono i giorni,
l’uragano soffia tra i pini,
la Morte svanisce con l’uomo.